Un mese tra le montagne della Carnia
25 Marzo.
Cerco da cinque giorni il mio battaglione.
L'ho lasciato a Serpenizza a riposo. So che è rimasto dieci giorni a Pinzano sul Tagliamento. Poi è partito per la Carnia, ma per destinazione ignota. Giro da cinque giorni, in lungo e in largo, la Carnia, a piedi e in ferrovia. Da Tolmezzo a Paluzza. La colonna dei bersaglieri che tornano dalla licenza invernale è scortata da due carabinieri a cavallo. Attraversiamo il ponte del But che «irrompe e scroscia». Si marcia in ordine. Ecco Terzo, Cedarchis, Enemonzo, Arta. Ho appena il tempo di leggere l'epigrafe che ricorda il soggiorno di Giosuè Carducci in questi luoghi.
Un po' di sole. La strada s'inoltra fra abetaie foltissime e odoranti. C'è nell'aria il tepore della primavera. I torrenti ingrossati dal disgelo urlano tra le gole dei monti. Verso Paluzza, la valle del But si allarga. A Paluzza, il maggiore degli alpini, che sta al Comando di tappa, mi dice, finalmente, dove si trova il mio battaglione. Lo raggiungerò domani. Passo la serata a Paluzza, popolata da soldati di ogni arma. Il paese è intatto. L'artiglieria nemica non lo ha mai raggiunto. Timau, invece, secondo quanto mi dicono abitanti di Paluzza, è una rovina. Timau è l'ultimo abitato che si trova, prima di raggiungere le posizioni ormai famose del Pai Piccolo, Pai Grande, Freikofel.
26 Marzo.
Giunge dal Freikofel il rombo ininterrotto del cannone. Si combatte. Ma l'eco della battaglia vicina non sembra turbare eccessivamente i cittadini di Paluzza. La caratteristica chiesetta, dinanzi alla fontana, rigurgita di gente che ascolta la messa. Gruppi, fra i quali sono molti soldati, stanno davanti alla porta principale e a quelle laterali. Un sergente maggiore del Comando di tappa mi informa che da Timau si sono chieste «tutte le ambulanze disponibili». Ciò dà un'idea della gravità del combattimento.
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