(segue) La politica interna al Senato
(5 dicembre 1924)
[Inizio scritto]

      È strano che da qualche tempo a questa parte non mi si rappresenti più alle folle come un tiranno sinistro che ha coperto di catene il popolo italiano. La libertà esiste in Italia. La prova? Domenica scorsa a Milano si è tenuta una riunione di opposizione indisturbata e si sono pronunciati discorsi violentissimi contro il Governo che non pochi giornali hanno diffuso in tutta Italia. Se questa non è libertà, bisognerà cambiare il vocabolario politico. Mi accadeva l'altro giorno di commemorare Anatole France leggendo uno dei suoi libri: Thais. In questo libro quello spirito così sottile fa parlare un vecchio prefetto della flotta romana, tale Lucio Aurelio Cotta.
      Evidentemente è il France che parla e dice: «Non nego che la libertà sia il bene sommo per una Nazione; ma più vivo e più mi convinco che solo un Governo forte può assicurarla ai cittadini. La lunga esperienza mi ha insegnato che il popolo è oppresso quando il potere è debole. Così, chi, come la più grande parte dei retori, si industria a indebolire il Governo, commette un delitto spregevole».
      Si dice: voi avete fatto un decreto-legge contro la libertà di stampa. Davvero? Siete voi convinti che da quel decreto in qua non ci sia stata più libertà di stampa in Italia? Ce n'è stata di più. E poi, che cos'è questo dispregio per i prefetti e per i funzionari, per il potere esecutivo alla cui testa sta S. M. il Re? E giacché credete che i prefetti siano personalità che commettono arbitri, debbo protestare solennemente contro questo luogo comune. Il Prefetto è ligio al Governo; ma è ligio anche al suo dovere e non commette arbitri.
      Del resto abbiamo un precedente singolarissimo. Nel 1858 ci fu l'attentato Orsini a Parigi: otto morti, 150 feriti; grandi clamori di proteste in Francia e nel mondo. Si pose ancora una volta innanzi al Parlamento Subalpino la questione della libertà di stampa in Italia. Si credeva che taluni giornali stampati in Italia o dai fuorusciti italiani all'estero avessero indotto Felice Orsini a questo gesto. C'è una lettera di Camillo Cavour, datata da Torino 25 gennaio 1858, che dice:

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