(segue) La politica interna al Senato
(5 dicembre 1924)
[Inizio scritto]

      Del resto, che cosa si propongono questi signori? Dicono: noi non scendiamo dall'Aventino. La Camera continuerà a funzionare lo stesso. All'insurrezione non ci pensano: del resto sarebbe soffocata.
      Non bisogna giudicare un Governo da un frammento o da un lato della sua politica, ma da tutto l'insieme, non solo da quello che si è ottenuto, ma da tutto quello che si può ottenere, dalle tendenze che animano questo Governo. E allora il giudizio non può essere che equanime e obiettivo.
      Onorevoli Senatori, si è parlato in quest'aula dei «Soloni». Ebbene il Solone vero, l'antico, fu un grandissimo legislatore, come certamente molti di voi mi insegnano. Quelli di voi approfonditi nelle storiche discipline mi insegnano che Solone abolì le leggi di Dracone, che erano barbariche, divise i cittadini in quattro classi ed impose l'obbligo del lavoro come dovere della città. Poi creò il Senato di 400 membri. Ma poi fece una legge con la quale, on. Bensa, si colpiva di ignominia il cittadino che nelle ore storiche non prendeva partito. Allora, onorevoli Senatori, lasciamo stare i Soloni moderni e rimettiamoci a questo saggio antico. Io vi dico: potete scegliere. Fiducia condizionata, no! No, nemmeno nei tempi grigi della mia giovinezza, quando lavoravo colle braccia, ho mai chiesto elemosine. Non chiedo la sopportazione politica. O si ha fiducia o non si ha. O si crede, o non si crede. Ma la fiducia, o signori, deve essere viatico di conforto, non un calice di amarezza. Alla fiducia condizionata, incerta, preferisco la netta sfiducia.
      Voi vedete che vi ho parlato leale. L'ora è grande, on. Senatori, e voi la sentite. E io sono sicuro che voi sarete indubbiamente pari alla grandezza di quest'ora, perché vi è nel vostro illuminato spirito un pensiero che tutti gli altri raccoglie e sovrasta e signoreggia: il pensiero del Re e della Patria, del presente e dell'avvenire.

(segue...)