(segue) Condizioni agli aventiniani
(17 gennaio 1926)
[Inizio scritto]

      Innanzi all'obliquo tentativo bisogna dire e ripetere la nostra intimazione nettissima e riporre le nostre inderogabili condizioni. Si è parlato di mito. Per mio conto vi rinunzio, perché il mito non può essere imposto e io respingo ogni anticipata giubilazione. Vivissimo, tra uomini vivi come sono i fascisti italiani, non intendo di essere collocato anzi tempo negli spazi siderei dei miti inaccessibili, ai quali molto spesso si bruciano grani di incenso convenzionali e distratti quando non sono menzogneri e codardi.
      Ma chiunque dell'Aventino voglia ritornare, semplicemente tollerato, in quest'aula, deve solennemente e pubblicamente:
      1°) riconoscere il fatto compiuto della rivoluzione fascista, divenuta ormai un regime che ha profondamente mutato la costituzione dello Stato italiano, per cui una opposizione preconcetta è politicamente inutile, storicamente assurda e può essere compresa soltanto in coloro che vivono al di là dei limiti dello Stato;
      2°) riconoscere non meno pubblicamente e non meno solennemente che la nefanda campagna scandalista dell'Aventino è miseramente fallita, perché non è mai esistita una questione morale che riguardasse il Governo o il Partito;
      3°) scindere non meno solennemente e pubblicamente la propria responsabilità da coloro che oltre le frontiere continuano l'agitazione antifascista.
      Accettate ed eseguite queste condizioni, gli sbandati possono sperare nella nostra tolleranza e rientrare in quest'aula. Senza l'accettazione e l'esecuzione di queste condizioni, finché io sia in questo posto, e mi riprometto di starci per un pezzo, essi non rientreranno né domani, né mai!