(segue) Discorso del XIII gennaio per lo Stato corporativo
(12 gennaio 1934)
[Inizio scritto]

      Il senatore Bevione vi ha parlato e vi ha citato la «Sofindit», ma io credo che molti di voi non sanno precisamente che cosa si nasconda sotto questa parola dal sapore vagamente ostrogoto. (Si ride).
      La «Sofindit» non è una industria: è un convalescenziario (si ride) dove vengono collocati in osservazione e in cura degli organismi più o meno deteriorati. Voi non sarete così indiscreti, io spero, da domandarmi chi paga le rette di queste più o meno lunghe degenze. (Applausi, si ride).
      In questo periodo, quando l'industria non può collocare, giovandosi del suo prestigio o della sua forza, il suo capitale, ricorre alla banca.
      Quando una impresa fa appello al capitale di tutti il suo carattere privato cessa, diventa un fatto pubblico o, se più vi piace, sociale.
      E questo fenomeno, che era in atto prima della guerra con una profonda trasformazione di tutta la costituzione capitalistica, e voi potete documentarvi leggendo il libro di Francesco Vito, I Sindacati industriali e i cartelli, questa trasformazione accelera il suo ritmo prima della guerra, durante la guerra e dopo.
      L'intervento dello Stato non è più scongiurato, è sollecitato. Lo Stato deve intervenire? Non vi è dubbio. Ma come?
      Ora le forme dell'intervento dello Statoci questi ultimi tempi sono state diverse, varie, contrastanti. C'è l'intervento disorganico, empirico, caso per caso. Questo è stato applicato in tutti i Paesi, anche in quelli che fino a questi ultimi tempi tenevano issata la bandiera del liberalismo economico. Vi è una forma di intervento, quello comunistico, verso la quale io non ho nessunissima simpatia, nemmeno in ordine allo spazio, senatore Corbino. Escludo per mio conto che il comunismo applicato in Germania avrebbe dato risultati diversi da quelli che ha dato in Russia. Comunque è evidente che il popolo germanico non ne ha voluto sapere.

(segue...)