(segue) Alla III Assemblea delle Corporazioni
(15 maggio 1937)
[Inizio scritto]
Dal carbone si passa al ferro. Qui
mi sia permesso di dire che la nostra siderurgia fa troppo
assegnamento sui rottami di ferro stranieri che ci vengono in
maggioranza dalle Nazioni occidentali o non ci vengono affatto, o con
prezzi proibitivi a seconda degli umori politici dominanti in quei
Paesi. (Applausi).
Una siderurgia che lavora per il
cinquanta per cento sui rottami altrui, è una siderurgia
artificiosa, che può mancare ai suoi scopi proprio nel momento
più necessario. Basti ricordare che nel 1935 il totale dei
rottami di ferro importati superò il milione di tonnellate che
discesero nel 1936 a 400.000 tonnellate. Per confortarci aggiungerò
che la produzione di minerali ferrosi nazionali è in aumento:
da 551.000 tonnellate del 1935 siamo saliti a 900.000 nel 1936,
toccheremo il milione e centomila nell'anno in corso.
Ciò significa che la
siderurgia tende all'autarchia, cioè ad utilizzare al massimo
le risorse nazionali di minerali di ferro.
A quanto ammontano tali risorse?
Secondo le valutazioni dell'Ispettorato delle Miniere delle
Corporazioni, il nostro patrimonio ferrifero disponibile toccherebbe
i 30 milioni di tonnellate; secondo l'E.N.C. italiana la massa
ferrosa esistente in Italia sarebbe di 40 milioni di tonnellate, con
una riserva di oltre 100 milioni di tonnellate. Alle stesse cifre
arrivano il professore Villavecchia del laboratorio chimico delle
Dogane e il professore Stella. Il nostro patrimonio di minerali
ferriferi è relativamente modesto, se lo si confronta coi
patrimoni di altre Nazioni, ma è sufficiente ai nostri bisogni
per un lungo periodo di anni, anche se si raddoppiasse, come si dovrà
raddoppiare, la produzione attuale.
Ai minerali bisogna aggiungere le
piriti. Se ne prevede una produzione nel 1937 di 900.000 tonnellate
che daranno 500.000 tonnellate di ferro, al 50%.
(segue...)
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