(segue) Alla III Assemblea delle Corporazioni
(15 maggio 1937)
[Inizio scritto]
Debbo dire però agli
eventuali impazienti che questa utilizzazione delle ricchezze
dell'Impero presuppone una attrezzatura che non esisteva affatto o
esisteva allo stato rudimentale, a cominciare dai porti per finire
alla rete stradale, che è in corso di attuazione.
Le difficoltà da superare
sono gigantesche e solo chi segue da vicino quotidianamente la vita e
lo sviluppo dell'Impero può averne la sensazione diretta.
Ma si superano malgrado tutto con
una tenacia che rivela il vero carattere degli Italiani e lavorando
tranquillamente, quando è necessario, ore venticinque al
giorno. (Applausi).
Da qualche tempo elementi più
o meno responsabili delle cosiddette grandi democrazie (su queste
democrazie ci sarebbe molto da discutere a cominciare da quella che
ignorava e vietava sino a un mese fa il contratto collettivo!)
desidererebbero che gli Stati cosiddetti autoritari rinunziassero ai
loro piani autarchici, non sappiamo dietro quali contropartite.
Per noi è impossibile. In
un mondo come l'attuale, armato fino ai denti, deporre l'arma
dell'autarchia significherebbe domani, in caso di guerra, mettersi
alla mercé di coloro che possiedono quanto occorre per fare la
guerra senza limiti di tempo o di consumo. (Vivissimi applausi).
L'autarchia è quindi una
garanzia di quella pace che noi fermamente vogliamo, è un
impedimento ad eventuali propositi aggressivi da parte dei Paesi più
ricchi. Chi ha corso il rischio di essere strangolato dalle corde
della guerra economica sa che cosa pensare e come agire. (Applausi).
In questa materia nessuna
esitazione è ammissibile, si tratta di assicurare la vita,
l'avvenire e la potenza di quel grande popolo che è il popolo
italiano.
(segue...)
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