(segue) Il viaggio nel Piemonte
(14-20 maggio 1939)
[Inizio scritto]

      Coloro che, ad ogni mattina, spiavano, forse con cannocchiali rovesciati, una possibile incrinatura o frattura, saranno ora confusi e umiliati. E nessuno coltivi delle ridicole, superflue illusioni e nessuno si abbandoni a una superficiale casistica, perché la dottrina del Fascismo è chiara e la mia volontà inflessibile. Come prima e meglio di prima.
      Noi marceremo con la Germania, per dare all'Europa quella pace con giustizia, che è nel desiderio profondo di tutti i popoli. I polemisti delle grandi democrazie sono invitati a dare un giudizio possibilmente equo di questo nostro punto di vista. Noi non desideriamo la pace semplicemente perché la nostra situazione interna è com'è noto, catastrofica. Sono ormai 17 anni che i nostri avversari attendono invano la famosa catastrofe e attenderanno invano per molto tempo.
      E non è nemmeno per una paura fisica della guerra, sentimento che ci è ignoto. Ecco perché le elucubrazioni di alcuni strateghi da tavolino dell'oltre vicina frontiera, nelle quali elucubrazioni si parla di facili passeggiate nella Valle del Po, ci fanno sorridere.
      I tempi di Francesco I e di Carlo VIII sono passati. Una guerra del «gesso» non è più pensabile. Anche quando dietro le Alpi non c'era, come oggi, un popolo formidabilmente compatto di 45 milioni di anime, gli invasori stranieri da Talamone a Fornovo non ebbero mai lunga fortuna in Italia e nella vostra gloriosa storia militare, o Piemontesi, vi sono molti episodi memorabili, che dimostrano come qualmente non sia igienico proporsi di passeggiare da prepotenti per le contrade d'Italia.
      Ma è il caso di domandarsi: al sincero desiderio di pace degli Stati totalitari, corrisponde un altrettanto sincero desiderio di pace da parte delle grandi democrazie? (La folla grida: «No! No!»). Avete già risposto: io mi limiterò a dire che allo stato degli atti è lecito dubitarne.

(segue...)