(segue) Il viaggio nel Piemonte
(14-20 maggio 1939)
[Inizio scritto]

      Camerati! Io potrei dispensarmi dal parlare di questioni di carattere interno. Queste questioni si possono ridurre ad una frase sola: Popolo e Regime costituiscono in Italia un blocco assolutamente inscindibile.
      Dal punto di vista sociale, noi terremo rigorosamente fede ai postulati della nostra vigilia. Con l'educazione delle nuove generazioni ricreeremo il tipo fisico e morale dell'Italiano nuovo. Con la valorizzazione delle nostre terre d'oltremare, intendiamo di migliorare le condizioni di vita del popolo lavoratore.
      Tutto ciò richiede una severa disciplina, una coordinazione degli sforzi e una tensione delle nostre volontà senza precedenti. Ma non è questo che può intimorire gli Italiani del tempo fascista e, meno degli altri, voi.
      Novanta anni or sono, il piccolo Piemonte osò sfidare un impero secolare. Parve un atto di temeraria follia; fu, invece, un grande atto di fede e quest'atto di fede era nel solco della storia. E da allora furono chiamati Piemonte tutti i popoli che si rendevano iniziatori di un movimento unitario. Deve essere per voi, o Torinesi, motivo di intimo e profondo e legittimo orgoglio ricordare quel tempo e confrontare l'Italia del 1848 con l'Italia del XVII anno dell'Era fascista.
      Quale arco di potenza è stato gettato in questi 90 anni! E chi potrebbe dubitare del nostro futuro? (La folla grida: «Nessuno!»).
      Camerati! Qualunque cosa accada, io vi dichiaro, con assoluta certezza, che tutte le nostre mete saranno raggiunte.


      Nel pomeriggio, il Duce visita la Mostra «Torino e l'Autarchia», e l'Istituto Elettrotecnico nazionale «Galileo Ferraris», dove risponde all'Accademico Vallauri, che gli ha esposto l'attività dell'ente.

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