(segue) Il viaggio nel Piemonte
(14-20 maggio 1939)
[Inizio scritto]
Per la seconda volta ho l'onore di
trovarmi tra di voi, o fierissima gente della provincia grande, che
tale resterà. Qui si chiude il mio viaggio nel Piemonte.
Da Torino, sempre regale e solenne
nella sua anticipatrice geometria urbanistica, agli altri capoluoghi
di provincia, alle città minori, ai villaggi, ai cascinali più
sperduti nelle campagne, io ho avuto sensazioni nettissime, che
dinanzi a voi voglio riferire, non solo per voi, ma per tutti
gl'Italiani.
Il Piemonte è forte; forte
della sua tradizione militare plurisecolare e gloriosa; forte per la
sua mai smentita disciplina civica, forte per il suo temperamento e
per il suo carattere, forte, soprattutto, perché ha la
coscienza di essere stato l'artefice dell'unità e
dell'indipendenza della Patria.
Il Piemonte è fascista al
cento per cento. (Il popolo risponde con un solo grido: «Sì!
Sì!»). E questo sia detto una volta per sempre, onde
fare tramontare certe ridicole illusioni.
Il Piemonte non ha che una filìa:
quella per l'Italia. Il Piemonte lavora. Io l'ho visto questi giorni
al lavoro. Dalle campagne, dove l'agricoltura ha uno sviluppo
meccanico prodigioso, ai grandi stabilimenti industriali, alle
miniere — quella di Cogne, che io ho visitato stamane, dà
mille tonnellate di ottimo minerale al giorno — il Piemonte
lavora con decisione, con ritmo preciso e inspirandosi ai dettami
dell'autarchia.
Dalle cartiere ai tessili, alla
meccanica, alla siderurgia, il Piemonte è già quasi
completamente autarchico e dà un esempio a tutta l'Italia. Qui
si crede all'autarchia come presupposto dell'indipendenza nostra,
come un secolo fa si credeva nell'indipendenza e nell'unità
politica della Nazione.
Il Piemonte è in linea con
la politica dell'Asse. E nessuna città più di Cuneo,
che ha resistito gloriosamente a tanti assedi, lo può sentire.
(La folla grida: «Passeremo! Passeremo! Passeremo!»).
(segue...)
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