Benito Mussolini
Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota


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     Il Gran Sasso, dal punto di vista "estetico", è veramente affascinante. Non si può facilmente dimenticare il profilo scabro di questo monte che nel cuore d'Italia raggiunge quasi i tremila metri. La roccia è nuda, ma ai piedi della cima più alta si distende un grande pianoro in direzione sud-est, il Campo Imperatore, lungo almeno venti chilometri, con dolce declivio, luogo ideale per gli sport della neve.
     Ai primi di settembre, su questo e sui limitrofi pianori, pascolavano numerosi greggi saliti in primavera dall'Agro romano e che ormai lentamente si spostavano, preparandosi a ritornarvi. Talvolta i proprietari dei greggi facevano delle apparizioni a cavallo e poi se ne andavano lungo i crinali della montagna stagliandosi all'orizzonte come figure di un'altra età.
     C'è un indefinibile nelle cose, nell'aria, nella gente di Abruzzo che afferra il cuore. Un giorno un pastore si avvicinò a Mussolini e molto a bassa voce gli disse: «Eccellenza, i Tedeschi sono già alle porte di Roma. Se il Governo non è fuggito poco ci manca. Noi della campagna siamo rimasti tutti fascisti. Nei paesi nessuno ci ha disturbato. Hanno soltanto chiuso i circoli. Sempre si parlava di voi. Si è detto che eravate fuggito in Spagna, che vi avevano ucciso, che eravate morto durante un'operazione in un ospedale di Roma, che vi avevano fucilato al forte Boccea. Io credo che i Tedeschi, quando avranno saputo dove siete, vengano a liberarvi. Adesso porto giù le mie pecore e glielo dirò io dove siete. Ora si fa presto: le pecore fanno il viaggio in treno. Quando dirò a mia moglie che vi ho visto, dirà che sono impazzito. Ora viene il maresciallo; a buon vederci!»