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Quando nel 1920 Valona fu abbandonata imperando Giolitti, fu un pianto. Chi non ricorda l'articolo di Mussolini: "Addio Valona"? Poi, dopo venti anni, si ripercorse l'antica strada, che è fissata, più che dalla storia, dalle leggi eterne della geografia. Salendo in volo da Bari o da Brindisi, dopo pochi minuti, già si scorge il profilo lagunare delle coste albanesi, oltre Valona, la catena dello Scindeli, il Trebiscines, l'insanguinato Golico, mentre più lontano, sempre avvolto nelle brume, si alza nella sua grinta chiusa e severa il Tomori. Quale prodigio di opere in pochi anni in Albania, mentre gli Albanesi venivano con eguali diritti e doveri parificati ai cittadini italiani, secondo il costume di Roma. Ecco la grande autostrada Durazzo-Tirana; i nuovi edifici della capitale, la bonifica della Musachia, i pozzi petroliferi del Devoli (unica fonte per l'Italia di questa materia prima), le miniere di ferro verso Elbassan, quelle di bitume, di rame, di carbone, di cromo; ecco il piano stradale già quasi compiuto del tronco ferroviario Durazzo-Elbassan, che continuato oltre il lago di Ocrida ci avrebbe messo in comunicazione diretta con Sofia e il Mar Nero. Imprese industriali, commerciali, agricole, bancarie italiane stavano per trasformare il volto di quella terra che da secoli sempre gravitò verso l'Occidente italiano, dai tempi di Teuta regina degli Illiri a Scanderbeg, monumentato di recente in una piazza di Roma. Di tutto ciò non è rimasto nulla, assolutamente nulla. Tutto è crollato alla nefasta data dell'8 settembre. |