Luigi Barzini
Odissea. L'avventurosa fuga di un nostro aviatore dal campo nemico.


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     Ciascun edificio è circondato da una barriera di fili di ferro interrotta da un piccolo cancello. L'intero campo è cinto da una rete metallica, alta più di due metri, tesa su grossi pali. Numerose sentinelle sono in perenna fazione fra le siepi metalliche nei viali che si intersecano fra un edificio e l'altro, e lungo la cinta retata. Alla notte tutto l'esterno del campo è illuminato da lampade, lontane fra loro una diecina di metri.
     Fuggire! Fuggire! La fuga è il sogno, il delirio, l'ossessione di ogni prigioniero. Ci vuole del tempo perché un anima cessi di dibattersi. “Non siamo che a trentacinque o quaranta chilometri in linea d'aria dalla Conca di Plezzo!” - dicevano fra loro i nostri aviatori. - “Un quarto d'ora di volo!” - e il loro pensiero solcava la distanza. La prigionia deve sembrare più dura a chi ha avuto le ali.
     Parlavano della fuga per immaginarla; per viverla nella illusione, per nutrire la loro speranza. Meditare la liberazione è già un principio di liberazione. Nelle eterne ore della loro inerzia dolorosa costruivano infiniti romanzi di evasione, e ogni trama conduceva il loro spirito lontano, oltre tutte le barriere.

Il piano della fuga

     A furia di fare dei piani fantastici, qualche cosa di positivo, di vagamento possibile, si delineava nella loro mente. Il capitano cercava nella sua memoria gli itinerari del ritorno; rivedeva le regioni da attraversare come le aveva viste tante volte dall'alto, volando; nominava fiumi e valli, monti e strade; additava la direzione buona verso le cime boscose a sud-ovest. E' là! II pilota osservava con minuzia da meccanico i recinti, le reti, le finestre, sempre chiuse per ordine, e nelle ore di passeggiata, sul piazzale, misurava delle distanze a passi, contava i secondi che ogni sentinella impiegava a percorrere il suo settore....