Luigi Barzini
Odissea. L'avventurosa fuga di un nostro aviatore dal campo nemico.


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     Il fuggitivo giunse in mezzo ad oscure file di vagoni vuoti, a una cinquantina di metri dalla stazione. Dei lumi verdi e rossi occhieggiavano sui binari. Attraversò la ferrovia, passò fra due vagoni, discese attaccandosi ai cespugli fino alla Sava, entrò nel fiume.
     L'acqua gorgogliava oscura, gelida, violenta; a metà del tragitto gli arrivava al petto. Invece di prendere subito piede alla riva opposta, l'aviatore camminò nell'acqua. Tre o quattrocento passi. Pensò che se avessero scoperto le sue orme, le avrebbero perse nel fiume. Nascevano in lui astuzia di vita primordiale e selvaggia, si sentiva lanciato in una caccia in cui era la fiera.

Nella foresta immensa

     Risalito alla riva destra, trovò un viottolo, lo percorse. Camminava sull'erba, a fianco del sentiero battuto, per non far rumore e non lasciar tracce. Aveva a sinistra le montagne che doveva valicare, nere di boschi che scendevano sino alla valle, a destra il fiume. Cercava qualche strada laterale che gli servisse da guida, che lo conducesse nella foresta. Si proponeva di camminare fuori dalla strada ma di seguirla; presentiva lo sperdimento nelle selve infinite e buie.
     Improvvisamente vide delle case vicine, sul sentiero. Non ne distingueva i contorni: scorgeva soltanto le finestre accese, dei quadratini di luce sospesi nelle tenebre. Della gente vegliava la dentro. Egli ebbe allora paura di essere sentito dai cani. Immaginò l'abbaiamento dei mastini, l'allarme, le ricerche. E si gettò nel bosco.