Fortune della Divina Commedia
Ora veniamo a dire alcuna cosa della parte ch'ebbe Dante grandissima nella storia del pensiero italiano. Le varietà delle interpretazioni e dei giudizii, se tutte riescono, per vie diverse, a concordia d'ammirazione, generano però una confusione molesta. A guidarsi in siffatto labirinto converrebbe seguire il filo storico e cronologico delle condizioni dantesche.
Della fama che Dante ebbe in vita, già toccammo alcun che. Prima dell'esilio egli era lodato pe' suoi versi d'amore. Non sembra però ch'ei tenesse nelle brighe politiche un luogo principale, poiché i cronisti coetanei (Dino Compagni, Giovanni Villani, Coppo degli Stefani e Paolin di Piero) appena fanno di lui ricordo in passando. Ma dopoché cominciò a divulgarsi alcuna parte dell'Inferno (che fu qualche anno dopo l'esilio), il nome del poeta venne in grandissima popolarità, la quale tal fiata gli ebbe a costar caro, come una volta a Genova, dove vivea e primeggiava quel Branca D'Oria, del quale Dante aveva sbalestrato per morte anticipata l'anima in Malebolge.
La cantica, di cui il poeta soleva mandar alcun brano con epistole dedicatorie agli amici o ai signori di parte ghibellina, non venne divulgata intiera che dopo la sua morte; e subito fu studiata e cercata come un testo di sapienza teologica e di erudizione universale; prova saldissima che la Divina Commedia fu l'opera più seriosa che mai uscisse da mente umana, dopo i poemi prettamente jeratici.
Tutto il Trecento co' suoi commentatori par ripetere quel verso dell'epitafio:
Theologus Dantes nullius dogmatis expers,
e il solo Boccaccio cercò, come portava la natura sua, le ragioni del cuore. Quello che il Petrarca, dittatore che fu dei rinascenti studii nel XIV secolo, pensasse dell'Alighieri, non è ben chiaro; certo nei Trionfi lo imitò con picciola vena di fantasia; e nelle liriche lo vinse di copia e di finitezza, non d'affetto.
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