Il rifiorire di Dante
Nei principii del XVIII secolo, che vide il lento risorgere della civiltà italiana, Dante non era ormai più che una venerabile ruina, e appena di lui conoscevansi pochi brani di piana lezione. Ma a mano a mano che si vennero afforzando e sgomitolandosi le tradizioni della letteratura nazionale, Dante tornava in memoria e in onore; e primi ne ragionarono curiosamente bibliografi e biografi; poi grammatici ed eruditi, infine l'Italia stupì, come di novità grande, allorché uscirono le Visioni del Varano, che di Dante imitano il ritmo e il rilievo; benché sieno figure cavate di legno faticosamente, e non gettate in bronzo di colpo. Quest'ombra fievole bastò a dare la misura del gigante. E le orecchie assottigliate dietro i flauti di Metastasio, o intronate dal rombo dei mulini frugoniani, repugnarono invano; ultimo il Bettinelli, gesuita volteresco, abburattatore egli stesso di versi, e ingegno non maligno veramente, né volgare.
Nelle sue Lettere Virgiliane, relegando Dante tra le rugginose anticaglie e facendone l'Ennio della nostra lingua, egli ripeteva quello che da cent'anni pensavano, se non dicevano, gl'Italiani; ma così tardi e importuno, che parve insolenza e novità. Imperocché se allora né in Italia, ne fuori v'era anima che comprendesse ciò che pochi anni innanzi aveva scritto l'unico Vico, Dante essere l'Omero della barbarie ricorsa, s'incominciava però a indovinare da molti la soavità, la forza e la gioventù immortale della lingua dantesca; e già il Vanetti, il Gozzi, il Parini davano segno nelle opinioni e negli scritti loro d'aver provato il forte innesto. Poco appresso Alfieri e Monti, che fu salutato Dante redivivo, e più acconciamente assomigliato poscia a un eccellente pittore che imiti con fluido pennello risalti di bassirilievi e di statue, e infine Ugo Foscolo, il quale di Dante ebbe l'impeto e la furia, se non la luce, compirono la restaurazione e la volgarizzazione del gran poema.
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