Pagine in Libertà - 2014 - I testi possono essere copiati citando la fonte - ww.adamoli.org/free/dante-alighieri


[Home Page]

Il suo amore per Beatrice de Portinari

      E degli amori di Dante fu lunga disputa fra i commentatori; a molti dei quali parve cosa indegna di tant'uomo lo spasimare per una fanciulla; e però s'industriarono a risolvere in simboli ed in allegorie tutto quello che Dante narra e canta di Beatrice sua; ajutati in questo assunto da molte sentenze e dichiarazioni dell'autore, che mostrano doversi, oltre il senso letterale, cercare ne' suoi versi un senso mistico ed arcano (lnf., IX, XVII; Purg., VIII; e dappertutto nel Convito, ma principalmente nel trattato V, capit. 1). Ma questo era vezzo de' suoi tempi, e consuetudine dei teologanti e degli ascetici, che allora davano norma a tutti gli studii; i quali dai fatti medesimi narrati nelle Sacre Carte, e di cui avrebbero creduto empia dissennatezza mettere in dubbio la veracità, cavavano nondimeno varie e spesso lontanissime significazioni e moralità e sottilità metafisiche, al modo appunto che fa Dante chiosando le sue poesie amorose.
      La Beatrice adunque, secondochè per viva tradizione raccolse il Boccaccio in Fiorenza, visse veramente nel mondo temporale, e fu donzella della nobile e ricca famiglia dei Portinari, i quali avevano le loro case vicine a quelle degli Alighieri. Quando Dante vide primieramente angiola giovanissima, e fu ad una di quelle adunate del primo maggio che celebravansi allora con ogni maniera di gentilezza in Fiorenza, ella aveva di poco compiuto l'ottavo anno, ed egli ancora non era entrato nel decimo; e il vederla gli fu rivelazione li «osa divina, primo risvegliamento della fantasia e primo accorgimento della vita spirituale. Onde non è meraviglia s'ei la figurasse poi sempre e la venerasse come vivo simbolo della giovinezza intemerata dell'anima ed immagine della graziosa sapienza, e se a mano a mano la venisse considerando con virile serietà come la sua patrona celeste e come una verace musa cristiana.
      I versi d'amore che Dante compose per Beatrice viva, e gli stessi commenti di cui li accompagnò nella sua Vita nuova, i quali, pur ostentando un logicare scolastico, spesso traboccano a confessioni passionate e ad affettuosi delirii, le minute particolarità che vi sono toccate con tenerezza rattenuta e profonda, e che non avrebbero potuto essere ricordate ed avvertite se non dal cuore, tutto ci persuade che questa storia psicologica, in cui persino il gergo pedantesco ajuta il riserbo e lo squisito pudore, non può essere un travestimento metaforico d'idee politiche e religiose, temprate e contrappesate a freddo. A noi par tanto giusto il dire che Beatrice è un'allegoria rettorica della filosofia, o, peggio, della sovranità imperiale, quanto ci parrebbe l'insegnare collo Strauss, che nel culto della Vergine Madre del Redentore i teosofi del medio evo vedevano la deificazione della natura, vergine eterna, uscita dalla oltrapossanza dell'universo e generatrice dell'uomo.