Interpretazione delle allegorie
Quanto all'interpretazione delle allegorie, la gran ressa dei commentatori è intorno al canto I, ove pare che abbia a trovarsi la chiave di tutto il mistero; e principalmente intorno al Veltro, che v'è in dodici versi (100-120) con molte mistiche particolarità descritto, come quello che libererà l'umile Italia dalla lupa malvagia. Ora, questo veltro è, secondo i commentatori politici, un capitano o un principe ghibellino; secondo i commentatori guelfi, un papa; secondo i commentatori ascetici, Gesù Cristo. E ciascuno sgruppa alcuna parto del nodo, ma nessuno riesce a risolverlo del tutto. E par che da questo punto dipenda l'interpretazione di tutte le altre allegorie; la lupa che il Veltro dee far morir di doglia e ricacciar nell'inferno, la foresta, il colle, la fiumana ove il mar non ha vanto, la via dritta, l'altro viaggio, e il cinquecento dieci e cinque, che i politici leggono DVX, duce, capitano, e gli ascetici risolvono nella sacra sigla di Christus Dominus.
Ma codeste contenzioni danno per avventura in nonnulla, perché Dante stesso, come già abbiamo accennato, ondeggiò nell'allegorizzare tra varie intenzioni, e probabilmente interpolò egli stesso in queste parti arcane l'opera sua, e la venne accomodando alle successive fortune della sua parte, lasciandovi nondimeno traccia della primitiva lezione: onde chi non volesse inciampar ne' ragnateli, avrebbe a badare soltanto al senso poetico e alla realità plastica, in cui, a dispetto d'ogni recondito intendimento, improntavasi il genio dell'autore. Ad ogni modo potrebbe farsi un libro sollazzevole più della Chioma di Berenice in tanto aguzzarsi d'ipotesi in tomo ai simboli di Flegias, di Medusa, del Gran Veglio, del Minotauro, di Gerione, del Serpe che insidia le anime del Purgatorio, e delle apocalittiche fantasie che si mostrano al poeta nel Paradiso terrestre; per non parlare dei famosi logogrifi di Pluto e di Nembrotte.
Ed è meraviglia sentir codesti infatuati di Dante argomentare da una frase, da un epiteto del poema: ella dovette star così, ella ebbe a farsi in quest'altro modo; proprio come se Dante fosse testimone di cose effettive, o rivelatore di leggi fisiche, e che ne' suoi versi, come in caso di formole giuridiche, ogni parola dovesse aver conseguenze di fatti. Ma è da ridere che il Lamartine creda cotesto ombre essere la sostanza del poema; e confonda i capricciosi enigmi dell'arguzia dantesca colle chiare, calzanti, sfolgoranti allusioni storiche e biografiche. Gli è confondere la scienza degli astri e la meteorologia coi ghiribizzi di chi cercasse indovinare rappresentazioni e presagi nella forma mutabile delle nubi.
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