L'esilio
I Neri, rimasti padroni del campo coll'ajuto del Senza terra, prima travagliarono molte famiglie dei Bianchi; poi cacciarono tutte le schiatte di quella invisa fazione (aprile 1302); e fra i cacciati, anzi tra i primi perseguitati fu Dante Alighieri, da principio condannato ad una grossa taglia e a due anni di esilio come avversario della venuta del principe francese, e reo di concussioni e baratterie (Sent. 27 gennajo 1302), ed in seguito minacciato del rogo s'ei venisse alle mani di quei che allora facevano la giustizia in Firenze (Sent. 10 marzo 1302).
Così fu Dante serrato fuori dal bello ovile, ove egli era vissuto fin oltre a mezzo il corso della natural vita umana, nemico ai lupi che gli facevano guerra (Parad., XXV). E ben è dritto s'ei rende a se stesso questa nobile testimonianza; imperocché la virtù cittadina di Dante risplende chiarissima, ed ha un mirabile raffronto in quel modesto Dino Compagni, che nella sua Cronaca pare aver preparata, senza saperlo e senza quasi nominarlo mai, la più bella apologia del poeta.
Di qui innanzi la vita di Dante, più fortunosa e più agitata, non ha quella importanza storica e morale che si riscontra nella prima sua metà. Sbalestrato fuor di patria, Dante, se poté rafforzar e ingrandire il suo ingegno, e mutarsi di squisitamente sensitivo, quale ci appare nella Vita nuova, in ferrigno e tetragono ai colpi di ventura, non ebbe più parte libera nella storia, ma dovette professare amicizie ed inimicizie come portava la necessità. Esule da Fiorenza per avere predicata e comandata la concordia fra le nuove sette in cui venivansi dividendo i Guelfi, e per avere combattuta la fazione che voleva chiamar gli stranieri, ei finì a declinare a mano a mano verso i Ghibellini, ed infine fu giudicato ghibellino superlativo, e, come sogliono chiamarlo, feroce. Ma, chi ben guardi, il suo non era se non se furore di concordia, e disperazione delle discordie infinite e rinascenti; le quali, com'ei prevedeva troppo bene, dovevano condurre all'ultima pernicie non la sua città soltanto, ma l'Italia e tutta la cattolicità.
Nondimeno fu fatale che quest'uomo grande, implacabile contro gli scismi religiosi e civili, quest'uomo il quale per tutta la vita e in tutte le pagine ch'ei lasciò scritte par ripetere quell'unica parola ch'ei rispondeva al monaco Barione nel convento del Corvo, quest'uomo che cercò tutto il mondo triforme per trovarvi pace, avesse a parere ai posteri un partigiano arrabbiato e poco meno che un eresiarca.
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