Omaggio a Dante Alighieri di
ALLEGORICO DELLA DIVINA COMMEDIA I (JChe il fele dell' Inferno sia l'acerbità de' supplizii de' dannati| e la disperazione onde sono compresi di avere mai fiore di bene per tutta l'eternità| lo intende ognuno. Ma questo fele appartiene a quegl'infelicissimi| del numero de'quali Dante non era. Invece egli dice di condursi per que'luoghi| a fine di raccoglierne i dolci pomi. Dov'egli mette in opposizione l'amarezza propria del fele colla dolcezza propria dei pomi. Di guisa che se il fele dell'Inferno sono gli effetti dolorosi del peccato| fulminato di eterna maledizione| e non possibile più a cancellare dall' anima ; per la ragione dell' antitesi| i dolci pomi non possono essere altro che le buone disposizioni| necessarie per cacciar via da se il peccato. La quale interpretazione tanto più si fa necessaria| in quanto l'articolo determinato apposto a fele e dolci pomi esclude qualsivoglia altro senso| ed esige assolutamente che per fele s'intenda il male proprio dell'Inferno| e per dolci pomi il bene| che è proprio solo della contemplazione dell'Inferno.
L'altro luogo è del canto xxvi| dove| per la occasione di dover descrivere i. tormenti dell' ottava cerchia di Malebolge| nota i buoni effetti| che quella vista gli avea lasciati nell' animo| dì aborrimento al genere delle colpe colà entro punite| e di ferma volontà di evitarle| per non toccare un somigliante gastigo; e dice:
Allor mi dolsi| e ora mi ridoglio|
Quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi| E più lo'ngegno affreno ch'io non soglio.
Perchè non corra che virtù noi guidi; Sì che se stella buona| o miglior cosa M'ha dato il ben| ch'io stesso noi m'invidi.
Colle quali parole ci particolareggia per appunto le buo- '
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