Omaggio a Dante Alighieri di
temporale del romano ponteficI* 2 I Imostri contrario nel poema| e più nella monarchia| sarà detto nella seconda parte.
Rilucente della luce| che Giustiniano mise di sè tra gli altri più di mille splendori| che a Beatrice ed al poeta venivano innanzi 11| discende adunque a combattere collo scudo della milizia celeste per la temporale signoria de'pontefici contro i nemici| appunto colà nella terra| dove ora colle parole sue de'due reggimenti| ad altro tirandole| a cui egli non volea| fanno più i ro-mori grandi e le viste di mostrare che le fosse avversario. Or non potrebbe dire quel Gabriele Rossetti12| il quale di Dante faceva già in Londra spaccio di eretica pravità che qui il massimo poeta nostro in paradiso era al buio| come dice che era nel secondo canto dell'inferno| ed uscito del senno| allorché quivi rimbeccò il suo duca| signore e maestro 13| e gli rifece la proposizione dell'Eneide. Imperocché non sapeva quell'italiano| tornato bastardo| togliersi e uscirne per altra via di colà| dove il divino Alighieri confessa che Roma pagana| o città della terra| per chiamarla così alla san-tagostino| diventò| per ordinamento de'cieli| città della sedia della città di Dio. Di nissun fango| o letamaio si può ritrarre la lingua tanto imbrattata per dir villania e vituperio a Firenze| all'Italia e a tutta l'umanità maggiore che del far di Dante un eretico e un mentecatto. E pongasi mente che| per più vituperare i longobardi dell'essere stati addosso alle città del patrimonio della Chiesa| l'Alighieri adoperò un verbo| che nasce di cane| onde ne viene la similitudine di rabbiosa ira| di cui fece uso nel canto del conte Ugolino; come di cani| secon-doche dice quel di Certaldo erano in Francia vilipesi gl'italiani| che facevano mal mercato.
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