Omaggio a Dante Alighieri di
TEMPORALE DEL ROMANO PONTEFICI* 2 I Ie di Corso Donati| essendo Dante rimasto a Roma| ebbe effetto quel mutamento| che mandò a male ogni cosa. Ma se negl'intendimenti e nell'opera di Bonifazio di riunire le parti della cristianità| e l'Italia massimamente per l'acquisto sempre desiderato di Terra Santa| l'effetto non rispose al disegno e videsi ingannato della speranza| non fu per colpa di poca lealtà. Certamente si prese egli le brighe di metter pace e concordia tra la parte guelfa| pronta a dividersi tra di sè| come la contraria; fece le esortazioni a Vieri de'Cerchi| e' mandò il cardinale d'Acquasparata| che se ne ritornò ambedue le volte| lasciando scomunicati così i bianchi pertinaci| come i neri; e appresso il fatto del Valois e del Donati rimandò il cardinale a temperar l'animo de'vincitori a fin di pace. Non di meno l'Alighieri ben nove volte si lasciò andare agli estremi contra a Bonifazio dell'ira più feroce| pensandosi che| essendo egli rimasto tuttavia del tempo amico a Carlo ed al re Filippo| suo fratello| fosse stata la cagione del suo esilio.
Pur non di meno ei non si scarica di tutto lo sdegno ghibellino addosso a Bonifazio| e non ne tocca gli altri pontefici come principi del sacro patrimonio| ma come capi della parte guelfa. Se colui| che fece per viltà il gran rifiuto| non è Giano della Bella| il quale o per dolcitudine di cuore| per non turbare il comune di Firenze| ovvero per debolezza d'animo se ne partì quando più sarebbe stato necessario alla sua parte che rimanesse| e morì in esilio| ma è Celestino quinto; dimostra che| per quello che l'Alighieri ne dice 53| non lo pose egli nel limbo| perchè signore delle città della Chiesa| ma perchè durando lui| senza gli spiriti gagliardi di ben altri pontefici| i ghibellini avrebbero acconciati bene
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