Omaggio a Dante Alighieri di
TEMPORALE DEL ROMANO PONTEFICI* 2 I Ialla Chiesa colla frode e l'ipocrisia| più terribile e più dannosa di quella mossale dalla spada degl'imperatori| e bene sta. Ma poi dice chc le penne| che di sè lasciò la seconda volta nel carro; si vogliono avere per figura de'doni fatti alla Chiesa da Costantino| chele fecero più male che tutte le persecuzioni e le eresie| le quali sempre più alla fine 1' esaltarono | dove le citta e le ricchezze del suo principato la mettono al fondo. L'aquila| sia detto a pace di Brunone| nel linguaggio dell'Alighieri sempre è figura dell'imperiai podestà; onde nò le penne dell'aquila| nè il fatto e la dote di Costantino| come si è più innanzi mostrato | non fanno uggia alla signoria| che è ne'papi su'beni e le città del sacro patrimonio. Come Dante voleva che i papi non mettessero le mani nell'autorità dell' Imperatore sopra tutti gli altri principi; così nè anche voleva che gl'imperatori le ponessero in quella della Chiesa| come il quarto Arrigo| contro del quale perciò tanto combattè san Gregorio settimo| come altri pontefici contro di altri imperatori per il bene di tutta la cristianità ; ed allorché Filippo il Bello misele e nel pontefice| ancora che fosse egli Bonifazio| e ne' beni della Chiesa| gli diè del Giuda e del ladro con tutta l'ira ghibellina| onde più gli bolliva il cuore.
Apresi ora ad un tratto la terra fra l'una e l'altra ruota| e n' esce un drago| il quale si sguinzaglia a sua posta per il carro| e conficcatavi la coda maligna| e ritraendola.| come vespa che ritrae il pungiglione| tragge con sè del fondo. Indi un gigante| che è Filippo| re di Francia| usa colle sue male arti col papa| il quale| se non è Bonifazio| è Clemente quinto| che trasferì la sedia in Avignone 61. Rappresenta il poeta
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