Omaggio a Dante Alighieri di
Ì I \ DANTE MOSTRATO PALADINO ISELLA MONARCHIAmi sono attenuto a quel concetto che mi ò sembrato avere più importanza| più grandezza e più degna ragione di poema. Imperocché non mi è mai potuto andar per l'animo quella miserabile spiegazione di alcuni ascetici cementatori| che non vedono in Dante smarrito nella selva che un peccatore| il quale compreso finalmente dall'orrore del suo stato| si rimette per la buona via| e dopo pochi passi per quella si lascia talmente atterrire dalla guerra| che gli move la lussuria| poi la superbia e l'avarizia| che vedutosi impotente a resistere| si diede a tornare| penitente vigliacco| a quella stessa selva| che poc'anzi gli aveva fatto tanta paura: finché il cielo impietosito di lui gli manda Virgilio (un poeta pagano! perchè non piuttosto un buon confessore?) che lo liberi dalla selva| facendolo passare per l'inferno| conciossia-chè non gli sia possibile vincere altrimenti la lupa| quella malnata passione dell'avarizia| che gli fa tanto ostacolo alla salita del monte a divenire virtuoso e cristiano. Queste sono miserie e pecoraggini| di cui Danto sentirebbe vergogna se tornasse di qua : ed io vorrei scusarle anche non ostante la infelice loro combinazione nel testo| se il poeta non si fosse spiegato abbastanza nel corso del poema| e soprattutto non esistesse il libro de Monarchia 86 ».
Orbè| nel trentacinquesimo anno della vita| e nel mille trecento| nel quale pose Dante il principio del poema| comecché appresso avessevi messa mano| almeno iu volgare| uscì egli della selva| e però quando dal comune di Firenze| selva selvaggia secondo Bru-none| fu colpito col decreto d'esilio tra gli altri della sua parte in che da anni avea presa. Ne verrebbe che| tornato| sè ed a coscienza| fosse uscito di ghibellino;
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