Omaggio a Dante Alighieri di
che si deono cogliere dalla d. c. g l idi sola negligenza nel darsi a Dio| sebbene abbiano fatta una morte da santi; egli finalmente| che spinge la severità perfino in cielo dove riduce alla minima gloria quelle monache| che non si lasciarono martirizzare dai violenti lor rapitori piuttosto che mancare al voto di virginità. Egli dice di costoro.
Se fosse stato il lor volere intero|
Come tenne Lorenzo in su la grada| E fece Muzio alla sua man severo| Così l'avria ripinte per la stradaOnd'eran tratte| come furo sciolte ; Ma così salda voglia è tropo rada l.
Quello studioso di Dante che non vuol riconoscere come insegnata e prescritta dal poeta la salita del Calvario| può| anzi dee far a meno di legger più la Divina Commedia e di deliziarsi nell'immenso giardino di sue bellezze| perchè nè egli è fatto per Dante| nè Dante per lui.
Ma potrebbe dirsi che se Dante avesse veramente inteso di insegnar la salita del Calvario| avrebbe trattato anche questa almeno in un canto da aggiungersi al Canto XXXIII del Paradiso ; almeno almeno in fine del Canto XXXIII egli avrebbe chiuso col dire : Ora è tempo di salire il Calvario.
Questa sciocca pretesa è tutta simile all'altra pur sciocca di Maffeo Vegio| il quale veggendo chiudersi l'Eneide colla vittoria di Enea su Turno| nemico suo| senza la narrazione dei funerali di Turno| nè delle nozze di Enea con Lavinia| nò dell' apoteosi di Enea medesimo| gridò che il poema di Virglio è mancante| ch'esso dimanda un XIII libro da aggiungersi ai XII Virgiliani| e senz' altro ardì comporlo.
1 Par. iv 82.
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