Vita di Dante Alighieri di Cesare Balbo
capo li — 1265-1384 21
E s'io non fossi sì per tempo morto| Veggendo il Cielo a te così benigno| Dato t'avrei all'opera conforto.
Tnf. xv| 55-60.
Dante stesso| non iseevro di tali credenze| attribuisce a quegli astri benigni il proprio ingegno ; e giunto in Paradiso a quella costellazione de' Gemini| esclama:
O gloriose stelle| o lume pregno Di gran virtù| dal quale io riconosco Tutto| qual che si sia| il mio ingegno!
Con voi nasceva| e s'ascondeva vosco Quegli ch e padre d'ogni mortai vita (1). Quand'io senti' da prima l'aer Tosco.
Par. xxii| 112-117.
Del resto| non è se non giustizia aggiugner qui| che Dante con tutti i buoni di quei tempi trovava modo d'accordare questa influenza delle stelle col libero arbitrio dell'animo umano -| come si può vedere nel Purgatorio al canto xvi| v. 67 e seguenti| che sono de' suoi più belli| e che io porrei qui| se fosse il luogo di dire delle opinioni e non della nascita di lui.
Quanto ai sogni poi| narra il Boccaccio| che essendo gravida la madre di Dante| « nò guari lontana al tempo del partorire| per sogno vide qual dovea essere il frutto del ventre suo ; comechè ciò non fusse allora da lei conosciuto nè da altrui| ed oggi| per lo effetto seguito| manifestissimo sia a tutti. Parea alla gentil donna| nel suo sonno| essere sotto ad uno altissimo alloro| posto sopra un verde prato| allato ad una grandissima fonte ; e quivi si sentìa partorire un figliuolo| lo quale in brevissimo tempo nutricandosi solo dell'orbacche| che dello alloro cadevano| e delle onde della chiara fonte| le parea| che divenisse un pastore| e s'ingegnasse a suo pote-o d'avere delle frondi dell'albero| il cui frutto l'avea nudi ito; ed a ciò sforzandosi| le parea vederlo cadere| e nel rilevarsi|
(1) Cioè il Sol.».
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