Vita di Dante Alighieri di Cesare Balbo
capo vrii —1293-1295 105
Quai Barbarejfur mai| quai Saracino| Cui bisognasse| per farle ir coverte| 0 spiritali o altre discipline?
Ma se le svergognate fosser certe Di ciò che'1 Ciel veloce loro ammanna (1)| Già per urlare avrian le bocche aperte.
Che se l'antiveder qui non m'inganna| Prima fien triste che le guance impeli Colui che mo si consola con nanna.
Deh | frate| or fa che più non mi ti celi; Vedi che non pur io| ma questa gente Tutta rimira là dove '1 Sol veli.
Perch'io a lui: Se ti riduci a mente Quai fosti meco | e quale io teco fui| Ancor fìa grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui| ecc.
Purg. imi| 76-118.
Nei quali ultimi versi veggono gli espositori un cenno della vita allegra e viziosa anzi che no/condotta in quegli anni insieme dai due giovani Dante e Forese. Nò par dubbio*| e tanto meno se vi si aggiunga e l'impenitenza di Forese nel peccato della gola| e ciò che di Dante vedremo poi anche piti chiaro. Ma osservisi ne' versi precedenti la virtuosa indegnazione di lui contro ogni vizio sfacciato e scandaloso : ci non fu almeno di quelli che aggiungono al vizio la colpa peggiore di scusarlo| o la pessima di trarne vanto.
Accompagnandosi quindi i due amici su per il monte| Dante domanda a Forese di Piccarda-| e questi:
La mia sorella| che tra bella e buona Non so quai fosse più| trionfa lieta Nell'alto Olimpo già di sua corona.
Purg. xxiv| 13-15.
Salito poscia in Paradiso| ei la ritrova| ma nel cerchio pili basso| dove sono le anime state in terra sforzate a rom-
(1) Predizione delle sventure varie di Firenze che vedremo ne' primi anni del secolo xiv.
| |
Barbarejfur Saracino Ciel Colui Vedi Sol Quai Dante Forese Forese Dante Dante Forese Piccarda- Olimpo Paradiso Predizione Firenze
|