Vita di Dante Alighieri di Cesare Balbo

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      capo xiii — 1292-1301 189
      Bontà non è che sua memoria fregi ; Così è l'ombra sua qui furiosa.
      Quanti si tengon or lassù gran Regi| Che qui staranno come porci in brago| Di sè lasciando orribili dispregi!
      Ed io: Maestro| molto sarei vago Di vederlo attuffare in questa broda| Prima che noi uscissimo del lago.
      Ed egli a me: Avanti che la proda Ti si lasci veder| tu sarai sazio ; Di tal desìo converrà che tu goda.
      Dopo ciò poco| vidi quello strazio Far di costui alle fangose genti| Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
      Tutti gridavan: A Filippo Argenti. Quel fiorentino spirito bizzarro ' In se medesmo si volgea co' denti.
      Quivi '1 lasciammo| che più non ne narro.
      Inf. vili| 31-64.
      Dove| chi abbia a mente la pietà per lo piti mostrata da Dante agli altri concittadini trovati ne' martirii| anche a un Ciacco e a tanti compagni di Brunetto Latini| non potrà non veder chiara orma d'olfese reciprocamente esercitate| personali| gentilizie| o pubbliche| o tutto insieme.
      Non dubbia vendetta contro gli Adimari è poi la menzione di essi fra le famiglie fiorentine al canto XVI del Paradiso. Non dubbia almeno| se diam fede a' commentatori; i quali ci narrano| venuta tal famiglia di Mugello e non grande ancora in Firenze| quando Bellincion Berti| gran cittadino antico| rammentato più volte in quel canto| avendo data una figliuola ad Ubertino Donati| diedeneun' altra ad imo degli Adimari: di che molto sdegnossi| quasi di vii cognazione| il Donati. Ancora aggiungono ivi i commentatori| che un Boccaccio Adimari fu quegli che| esiliato Dante| occupò i beni di lui (1). E Dante| maritato con una de'Donati| e quantunque grande anch'egli| e superbo| e nemico loro| pur insuperbito di tal parentela ancor piti
      (1) Vedi comm. della Minerva| Farad| xvi| 115-120.
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Vita di Dante Alighieri
di Cesare Balbo
Utet Torino
1857 pagine 474

   

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