Vita di Dante Alighieri di Cesare Balbo
366 libro secondoper due altri canti e mezzo| ripieni delle più intricate e quasi inestricabili allegorie. Sono principali quella dell'Aquila imperiale| cbe lascia le penne; e d'una meretrice sedente su un carro| nel quale certo rappresentò Dante la corte d'Avignone; e d'un drudo| il quale la batte| perchè ella rivolge gli occhi a lui Dante| che s'interpreta per Filippo il Bello| sdegnato del barcheggiare o di Bonifazio o di Clemente| Sulle quali allegorie quantunque molto sia stato scritto| molto si potrebbe scrivere ancora; ma sarebbe un fermarsi a ciò che è insieme meno certo e men bello in tutta la Commedia. Finisce poi tutto ciò con queste pur enimrnatiehe predizioni di Beatrice:
Non sarà tutto tempo senza redaL'aguglia che lasciò le penne al carro| Perchè divenne mostro| e poscia preda; Ch'io veggio certamente| e però '1 narro| A darne tempo già stelle propinque| Sicure d'ogni intoppo e d'ogni sbarro| Nel quale un cinque cento dieci e cinque Messo di Dio| anciderà la fuja| E quel gigante che con lei delinque| E forse che la mia narrazion buja
Qual Temi e Sfinge| men ti persuade; Perchè a lor modo l'intelletto ajtuja. Ma tosto fien li fatti le Najàde
Che solveranno quest'enigma forte| Sanza danno di pecore e di biade. Tu nota| e si come da me son porte Queste parole| sì le insegna a' vivi.
Purg. xxxm| 37-53.
Il cinquecento dieci e cinque è da tutti interpretato per le tre lettere l). X. V.| le quali intervenite fanno DVX| che significa capitano. Certo| debbe intendersi un capitano ghibellino| minacciato qui alla Curia romana ed alla Parte guelfa. Ma se questo sia Uguccione allora principal capitano ghibellino in Toscana| o Can della Scala che già si faceva tale in Lombardia| o un nuovo imperadore sperato in Italia| è impossibile determinare con cortezza; benché
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