Vita di Dante Alighieri di Cesare Balbo
capo xiii — 1314-1318
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od altri glieli rimproverarono. Ad ogni modo| certo è che qui ei senti il bisogno| qui almeno gli venne il pensiero di scusarsene. Ma furono scuse da superbissimo che cadono in minacce. Imperciocché| finita appena la predizione di Cacciaguida :
Io cominciai| come colui che brama| Dubitando| consiglio da persona Che vede e vuol dirittamente| ed ama :
Ben veggio| padre mio| sì come sprona Lo tempo verso me per colpo darmi Tal eh'è più grave a chi più s'abbandona ;
Per che di provedenza è buon ch'io m'armi| Sì che| se luogo m'è tolto più caro| Io non perdessi gli altri per miei carmi.
Giù per lo mondo senza fine amaro| E per lo monte del cui bel cacume Gli occhi della mia donna mi levaro|
E poscia per lo ciel di lume in lume| Ho io appreso quel che| s'io ridico| # A molti fia savor di forte agrume;
E s'io al vero son timido amico| Temo di perder vita tra coloro Che questo tempo chiameranno antico.
La luce in che rideva il mio tesoro (1) Ch'io trovai lì| si fe prima corrusca| Quale a raggio di sole specchio d'oro.
Indi rispose: Coscienza fuscaO della propria o dell'altrui vergogna| Pur sentirà la tua parola brusca.
Ma nondimen| rimossa ogni menzogna| Tutta la tua-vision fa manifesta| E lascia pur grattar dov'è la Togna (2) ;
(1) Ne' commenti della Minerva interpretasi quasi il mio tesoro fosse il trisavolo Cacciaguida; che sarebbe sciocca espressione. Ma si confrontino i versi 31-39 del canto xv| e si vedrà che il viso di Beatrice era quello che rideva alla luce di Cacciaguida. E così resta da lui chiamata suo tesoro la sua donna| e non il suo nonno.
(2) Questo verso tanto vituperato| si fa per la sua stessa bassezza| se non poeticamente| ma storicamente bello| siccome disprezzatissima risposta ai risentimenti dei cortigiani maggiori o minori.
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