Vita di Dante Alighieri di Cesare Balbo
capo lui —Ì341-1318 385
a lui : questo non era| nè dovea parergli tale| ed è n dir de' carichi ciò che delle compagnie| che i superbi infelici s'adattan meglio a non averne| che ad averne d'indegni. Ora| di tal sentire di Dante noi abbiamo| non una traccia| ma una prova in quel passo della dedica testò recata ; dove si lagna che le strettezze di sua facoltà gl'impedi-scono gli studii ulteriori ; e spera dalla magnificenza di Can Grande d'essere sollevato da tali impedimenti. Furono passate senza attendervi nò spiegarle tali lagnanze e speranze dagl'interpreti; ma non potendosi spiegar altrimenti che per qualche carico che usurpasse in modo ingrato il tempo e i pensieri del poeta| elle debbono spiegarsi per questo di che abbiamo memoria. Adunque| parmi appena da dubitarne: Dante fu fatto giudice in Verona dalla magnificenza del signor Can Grande| che vedemmo così poco sagace o gentile apprezzator di uomini. E Dante| dopo aver qualche tempo morso il freno| e provato questo strale di più dell'esilio| il superbissimo Dante se ne liberò senza badare se offendesse| ed offese. Uno de' canti del Paradiso fatti colà e mandati a Cane| l'xi| che non è così nè de' primi nò degli ultimi| incomincia con quegli ammirabili versi che sono in fronte al presente capitolo ; e che introdotti senza necessità di una spontanea ispirazione | accennano la condizione dell'animo dello scrivente| e debbon dirsi uno sfogo| un canto d'allegrezza dopo aver rimosso da sò|
0 di fatto o almeno scrivendo| tutte quelle cure de' mortali ch'ei chiama insensate. E notisi quel riporre fra esse
1 tura| e quel regnar per forza e per sofismi| che inteso o no contro al signore| dovette almeno lasciare un sospetto d'ingiuriosa applicazione nell'animo di lui.
In tutto | qualunque più generale o più precisa interpretazione diasi alle parole di Dante| elle s'accordan troppo colle memorie e co' documenti| per lasciare il menomo dubbio sulle mutue offensioni| e sul caduto favore dell'esule in corte. Ma Dante n'avea compenso in quel favor pubblico| che va e viene sovente in senso opposto; e in quell'applauso della gente volgare| che ò solo segno di larga gloria. Così vedesi da una narrazione del Boccaccio| Vita di Dante 25
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