Vita di Dante Alighieri di Cesare Balbo
392 libro secondoGià erari gli occhi miei rifissi al volto Della mia donna| e l'animo con essi| E da ogni altro intento s'era tolto ;
e tanto concorda il senso| anzi l'intimo sentimento ispi-rator di questi versi| con tutte le congetture precedenti| che se non fossero vere| sarebbe quasi miracolo quel concordare : onde non parmi da dubitare che fosse incominciato questo primo de'canti non mandati a Cane| dopo lasciata da Dante la corte di lui. Àncora il canto intiero celebra la vita contemplativa de' santi solitarii| posti ( senz'altra ragione apparente che dell'occasione) nel cielo di Saturno. Tra questi solitarii pone Pier Damiano| il contemporaneo e compagno di Gregorio VII nella prima guerra mossa alla corruzione ecclesiastica| abitatore già nella prima gioventù e nell'ultima vecchiezza| e quasi fondatore di quel romitorio di Fonte Avellana; il quale dimandato da Dante chi egli sia| risponde :
Tra due liti d'Italia surgon sassi| E non molto distanti alla tua patria| Tanto che i tuoni assai suonan più bassi ;
E fanno un gibbo| che si chiama Calria| Dissotto al quale è consecrato un ermo| Che. suol esser disposto a sola latria.
Così ricominciommi il terzo sermo (1); E poi continuando disse. Quivi Al servigio di Dio mi fei sì fermo;
Che pur con cibi di liquor d'ulivi Lievemente passava e caldi e geli| Contento ne' pensier contemplativi.
Render solea quel chiostro a questi cieli Fertilemente| ed ora è fatto vano| Sì che tosto convien che si riveli.
In quel loco fu' io Pier Damiano; Ecc.| ecc.
Par ad. xxi| 106-121. Del resto| due secoli e mezzo dopo| fu in certo modo con-(1) Cioè il terzo di quelli che gli avean parlato.
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