Vita di Dante Alighieri di Cesare Balbo
capo xiv— 1318-1319 399
L'uno al pubblico segno i gigli gialli Oppone| e quel s'appropria l'altro a parte| S) eh'è forte a veder qual più si falli. Faccian gli Ghibellin| facciati lor arte Sott'altro segno; chè mal segue quello Sempre chi la giustizia e lui diparte : E non l'abbatta esto Carlo novello Co' Guelfi suoi| ma tema degli artigli Ch'a più alto leon trasser lo vello. Molte fiate già pianser li figliPer la colpa del padre; e non si creda Che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli.
Parad. vi. 97-111.
Certo| ei parrà soverchio questo grand'amore di Dante alla sua cara Aquila| cli'ei chiama qui arme ed altrove uccel di Dio*| che già vedemmo introdotta nella intralciata allegoria del fine del Purgatorio| e che vedremo tornare in modo fors'anco più strano| uè più poetico o l'elice| nel seguito del Paradiso. E cerio| da ciò e da tutto veggiamo una gran devozione| superstizione o idolatria ghibellina. Ma in somma Dante condanna qui evidentemente le due parti : Dante dunque non si professò nò dell'una nò dell'altra; e tra l'una e l'altra| come già tra le suddivisioni de' Bianchi e Neri| ei non professò altro mai| che di far parte da se stesso. Nella vita attiva prese prima una parte| e pur troppo scrivendo poi un'altra. Ma meditando e giudicando | in sul finir de' suoi giorni| dannò le due in generale; e volle star in mezzo e dasò. Non istettevi nemmeno allora| tratto che fu di nuovo dall'ira più alla nuova che all'antica parte. Ma in somma la pretensione di lui di star in mezzo| è| se non altro| ossequio fatto da lui alla moderazione nelle parti| e quasi dichiarazione o protesta a mente riposata: la moderazione sola essere in ultimo da lodare.
Del resto le due professioni di fede politica qui citate| essendo nel vi del Paradiso| furono certo scritte nella corte ghibellina degli Scaligeri| e non nella guelfa del Patriarca Torriano ; ondechò non le apponga nessuno mai all'aver
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