Vita di Dante Alighieri di Cesare Balbo
CAPO XVI — 132Qrl321
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E quei che nel passato mi lodava Con sue parole e con lusinghe tenere| Di lor ciascuno mi vituperava : Perch'io mangiava| come il pan| la cenere| E '1 mio ber mescolava con^l pianto| Per contrastar alla focosa Venere.
E piìi giti| dove certo pensava a Firenze :
Tu sei| Signor| la luce chiara e pura| La qual levando su senza dimora| Farà la ròcca di Sion sicura.. Per ch'egli è venuto il tempo e l'ora Di ajutar quella gentil cittade Ch'ogni suo cittadino sempre onora: Ed è ragion che tu l'abbi pietade| Però che le sue sante mura piacque (1) Alli tuoi servi pieni di bontade : Li quali udendo li sospiri e l'acque E li lamenti e i guai di quella terra| A perdonarle mai lor non dispiacque.
Oltre i versi del medesimo Sajmo citati in fronte al presente capitolo| e tutto il De profundis (Salmo vi)| che son forse i migliori (2). In tutto| tutti questi versi di Dante non sono certo dei migliori| ma non mi sembran pure indegni di lui. Che se tali paressero ad altri| ei si vorrebbe dire| tutt'al più| effetto della prematura ma non incomprensibile caducità di lui. Ad ogni modo| vi son così chiari il suo stile| il suo verseggiare| le sue reminiscenze| che non è ragione di non attribuirli a lui. E non potendosi ciò far nò dire| dissesi ch'ei facesse queste sue poesie religiose per ischermo di certe persecuzioni ecclesiastiche. Ma di queste| contra Dante vivente| non ne è memoria storica; e poi| giudichi ognyno se fosse probabile o ne-
(1) Certo| se non è corrotto il testo| v'è qui in quel piacque per pia-quero grande abuso di quel principio di Dante| di p egar alla rima piuttosto le parole che non il pensiero. Ma forse si potrebbe leggere lo suo santo muro.
(2) Opere di Dante| Venezia 1758| t| iv| parte lì| pp| 175«seg;.
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