Vita di Dante Alighieri di Cesare Balbo

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      109 Questi la caccerà per ogni villa|
      Finché l'avrà rimessa nello 'nferno| Là onde 'nvidia prima dipartilln.
      112 Ond' io per lo tuo me' penso e discerno| Che tu mi st'gui; ed io sarò tua guida| E trarrotti di qui per luogo eterno|
      109-111. Qui il senso morale della lupa| per avarizia| sparisce| o almeno si oscura; ed all'incontro| diventa chiaro il senso storico di essa| per parte guelfa| figlia| secondo Dante| dell'invidia contra l'imperio (vedi Convito e Monarchia). E si ritrova| in circa| la medesima idea nel-l'Inf. vi| 74| 75:
      Superbia| invidia ed avarizia souo Le tre faville ch'hanno i cori accesi ;
      e nel xv| 68| dove Brunetto Latini chiama i Fiorentini
      Gente avara| invida e superba ;
      ed aggiunge subito l'avvertimento a Dante|
      Da' lor costumi fa che tu ti forbì. tDel resto| confesserò che questi due luoghi (dove i tre vizii capitali di Firenze| anzi i tre di cui si raccomanda a Dante di forbirsi| sono così chiaramente detti essere superbia| invidia ed avarizia) mi fecero e mi fanno quasi dubitare| che questi tre| e non altri assolutamente| sieno rappresentati dalle tre fiere. Resterebbero così la superbia e l'avarizia rappresentate| come nella nostra e in tutte le interpretazioni antiche| dal leone e dalla lupa ; ma avrebbe a porsi l'invidia| invece della lussuria| come figurata dalla lonza. Nò si opporrebbe a tale nuova interpretazione niuno de'passi in che è parlato della lonza; nemmeno quello del canto xvi| 10G| potendosi interpretar ivi| che dicesse aver tentato di vincere l'invidia de' concittadini con farsi frate. Ma| oltre che questa e l'altre spiegazioni sarebbero pure men soddisfacenti| non si potrebbe dir qui che la lupa fosse tratta d'inferno dall'invidia — lonza. Perciò ho abbandonata questa tentante interpretazione ; e la noto se mai venisse in mente ad altri.
      112-114. Continuando l'idea enunciata ai versi 94-95| leggi in prosa ; Qnde io giudico per tuo bene| che tu lasci
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Vita di Dante Alighieri
di Cesare Balbo
Utet Torino
1857 pagine 474

   

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