Paralipomeni danteschi
Rimangono i paralipomeni di sì gran tema. L'Alighieri per la sua trilogia scelse la terza rima, metro contessuto d'endecasillabi a rispondenze rinterzate, il quale, a giudizio dei più autorevoli maestri, e citiamo il Foscolo, è sopra tutti gli altri metri difficile, nemico delle riempiture e delle amplificazioni, serrato e scultorio: imperocché non riposando l'attenzione più sull'uno che sull'altro verso, ciascuno vi ha un proprio ed intero valore. Ancora devesi osservare che nessun metro più di questo rende immagine, mercé la continuata intrecciatura delle rime, di un processo e d'un trascorrimento non interrotto di moto e d'una successione di figure, non incorniciate e contorniate in quadri diversi, come avviene nelle ottave, ma collegate e schierate, conforme appunto avevano a passar le cose nell'immortal viaggio dantesco.
Né vuolsi tacere che la terzina co' suoi versi architettati a perpetua alternazione ha una gravità quasi sacra e una monotonia solenne che fu assomigliata al risponder delle litanie ed al fragore intercalato delle onde marine rotte al lido. — I canti della Divina Commedia sono 100; 34 della prima cantica; 33 per ciascuna delle altre due. Ogni canto ha da 30 a 40 terzine. Tutte e tre le cantiche finiscono colla medesima rima e colla stessa parola stelle. Del titolo vero del poema si fa gran disputa. Dante lo chiamò conmedia in contrapposto di tragedia, che così fa chiamare da Virgilio stesso l'Eneide. Ma con ciò parve piuttosto voler indicare il genere dello stile e dell'argomento, che dare il proprio e specificato titolo dell'opera, che in più luoghi appella poema sacro, e di cui indica il tema con quel celebre
Descriver fondo a tutto l'universo.
In alcune edizioni del 400 troviamo apposto il titolo Le cantiche della Commedia, in altre semplicemente Dante, a cui nell'edizione di Venezia del 1478 è aggiunto l'epiteto di venerabile. L'edizione di Aldo (1502; evita la questione del titolo ponendo nel frontispizio Le terze rime di Dante. Nell'edizione di Venezia del 1512, emendata dal Figino, troviamo per la prima volta dato a Dante il titolo di divino poeta. Infine, nel 1516, lo stesso Figino arrischia l'intitolazione di Divina Commedia (edizione di Venezia per Stagino di Monferra), non adottata subito, anzi non ripetuta che quarant'anni dopo nell'edizione del Giolito diretta dal Dolce (Venezia 1550) e consacrata poi nella celebre edizione della Crusca (1595).
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