Sulle opere minori di Dante
Toccando delle opere minori di Dante non abbiamo ricordate né le sue Rime sacre, ne le sue Egloghe latine, né la sua Tesi intorno al sito e alla figura della Terra, che furono stampate la prima dall'abate Quadrio (Bologna 1753), la seconda da monsignor Dionisi (Aneddoti, Verona 1788) e la terza dal Torri (Livorno 1843), e da ultimo raccolte e diligentemente illustrate dal Fraticelli (Firenze 1856-58, 3 vol., presso Barbera e Bianchi). Le Rime sacre, chi argomentasse dalla fievolezza dei numeri e dal rassegnato languore, che ricorda le poesie ascetiche di Silvio Pellico, si avrebbe a dire opera senile; ma negli ultimi anni suoi Dante scriveva gli eccelsi canti del novissimo Paradiso. L'Egloghe ci provano, che se Dante avesse scritto il suo poema in latino, giusta i consigli de' suoi dotti amici, niuno ora conoscerebbe il suo nome.
La Tesi di filosofia naturale, ch'ei disputò in Verona nei primi giorni del 1320, è una ghiotta curiosità pei fisici e per gli eruditi; e ci mostra come Dante fosse, rispetto ai suoi tempi, nobile cultore degli studii fisici; anzi sagace osservatore dei fenomeni naturali, di che ci lasciò prova manifesta in molti luoghi del suo poema, e principalmente ove parla del centro di gravità della terra, degli effetti della luce sui fiori e del concorso di essa nella maturazione e colorazione dei frutti, non che delle apparenze e degli influssi stellari; anzi, in questa medesima tesi par che accenni possibile la formazione delle montagne per interno impulso, o, come dicono, per sollevamento (§ XXI, Quaestio de aqua et terra).
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