Vicissitudini
Dei casi che resero a Dante più amaro e inquieto l'esilio, diremo brevissimamente. Tornato di Roma, dove Bonifacio, a quel che se ne indovina, l'aveva trattenuto ad inganno, capitò a Siena, dove fu alcun tempo con poco frutto; e dei Sanesi, guelfi accesissimi com'erano, fece poi duro giudizio. Fu poscia ad Arezzo, ove Uguccione della Faggiuola, capo di parte ghibellina, tenea, sotto nome di podestà, la signoria; e qui Dante fu chiamato a parte di una cotal maniera di governo che i fuorusciti si erano eletta, o, come direbbero adesso, di un comitato d'emigrati; poi a Verona per supplicar gli Scaligeri di soccorso; poi a Bologna, a Padova, a Sarzana, ora agli studii, ora nelle Corti dei Signori, ora a convegni dei fuorusciti, peregrino, quasi mendicando, e mostrando contro sua voglia la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato essere molte volte imputata (Convito, i, 3).
In questi primi quattro anni (1302-1306) molti casi erano sopravvenuti, che il sostentarono col pane degli esuli, la speranza. Prima i Bianchi e i Ghibellini avevano potuto far oste grossa, e correre contro Fiorenza pel Mugello (1304); ma furono rotti con vergogna e cacciati dagli avversarii. Poi era morto l'infesto Bonifacio VIII, e Benedetto XI, suo successore, aveva mosso pratiche per rimettere i fuorusciti in Fiorenza; e non gli riuscendo, il legato pontificio aveva favorito una gran mossa di Bianchi, che per la seconda volta trassero in armi contro la patria, entrarono con le spade inghirlandate d'ulivo in un quartiere della città, e vi si comportarono si mollemente, che furono ricacciati vituperosamente.
Di che Dante prese si grande sdegno, ch'ei non volle più accomunarsi a parti, ma professò di voler far parte da sé. Altre speranze nondimeno gli nacquero quando, cresciuta l'insolenza dei Neri, lo stesso legato di papa Clemente, il cardinal Orsini, si pose alla testa dei proscritti; ma dopo ignobili armeggiamenti anche questa lustra si dileguò; e Dante dovette ritirarsi in Lunigiana presso i Malaspina.
|
|