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Virtù del Purgatorio

      Ond'è che se l'Inferno vince nella forza plastica del rilievo le altre parti del poema, il Purgatorio primeggia per l'armonia e la vivezza del colorito e la varietà delle intonazioni. E quanto all'individualità umana, sebbene i tipi non vi sieno si numerosi e sì aspramente scolpiti come nell'Inferno, quei che vi s'incontrano hanno una finitezza e un riposo, come di grazia. E basti ricordare Manfredi, Casella, Sordello, Belacqua, e gli angeli, così varii nella loro luminosa fraternità. Anche del diviso e dell'ordine del Purgatorio Dante rende per filo di argomenti ogni ragione nel canto XII, al quale seguita poi la mirabile teoria dell'amore, e quella visione melodica della Sirena, di cui non ponno leggersi le parole senza cantarle (Purg., XIX).
      Nel Paradiso terrestre è il nodo drammatico dell'azione e il punto ove si tocca il colmo della vita poetica. Preceduta da mirabili visioni di donne angeliche e di celestiali trionfi, compare infine la gloriosa Beatrice, prenunciata fino dal primo canto dell'Inferno, e di cui ad ora ad ora mostravasi come un riflesso di luce tra le bufere infernali e in sui faticosi scaglioni del Purgatorio. Niuna lingua, crediamo, può contrapporre un miracolo poetico pari a quello della sospirata visione di Beatrice. Eufonia di parole, magia di accenti e di vocalizzazione, temperanza profonda di metro, immagini serafiche, trasparenza e semplicità virginale di lingua.
      lo vidi già nel cominciar del giorno
      La parte orientai tutta rosata,
      E l'altro ciel di bel sereno adorno,
      E la faccia del sol nascere ombrata
      Sì, che per temperanza di vapori
      L'occhio lo sostenea per lunga fiata;
      Così dentro una nuvola di fiori
      Che dalle mani angeliche saliva,
      E ricadeva giù dentro e di fuori,
      Sovra candido vel cinta d'oliva
      Donna m'apparve sotto verde manto
      Vestita di color di fiamma viva.

      (Purg., XXX).
      S'aggiunge la commozione e l'incertezza; perché Dante trovasi solo, senza Virgilio, in faccia alla donna ch'egli aveva tanto amata, e sì vilmente dimenticata. Di che l'austera Diva gli muove accusa, finché l'altro non confessa a voce spenta la sua miseria, e piangendo si rassegna nelle mani di Matelda, che l'immerge in Lete, perché perda ogni memoria, e poscia, soavissimo pensiero, gli fa bere dell'acqua d'Eunoe, che restituisce alla mente la ricordanza del bene.