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Le elezioni del 1948
(1953)
Abbiamo letto un manifesto del P.R.I., e sentiamo spesso ripetere da alcuni nostri avversari, che le elezioni del 1948 furono lo stesso una truffa poiché per eleggere un deputato del Fronte Popolare furono sufficienti 44.460 voti, e ancor meno (41.820) per eleggere un deputato d.c., mentre per la elezione di un deputato repubblicano furono necessari 72.500 voti (Un gruppo di lettori)
Questo tema mi è stato posto da numerosissimi lettori, anche repubblicani, poiché nella loro propaganda i rappresentanti dei partiti «minimi» - chiamiamoli così per differenziarli dall'altro partito minore a loro maggiore, il P.S.D.I., il quale però per merito della politica di Saragat si è andato allineando anch'esso al minimo - cercano di coprire le loro posizioni truffaldine di oggi proclamandosi vittime di una truffa del passato.
Siamo di fronte ad un inganno nell'inganno.
E' vero che la «proporzionale», principio indiscutibile per chiunque voglia restare aderente alle più elementari concezioni sulla democrazia rappresentativa e per chiunque voglia mantenere al suffragio universale, il suo vero significato politico, sul piano tecnico presenta problemi vari per la sua perfetta realizzazione.
L'applicazione perfetta del principio della proporzionale potrebbe aversi solo nel caso in cui ciascuna lista ottenesse un numero di voti esattamente uguale o esattamente multiplo del quoziente necessario per eleggere un deputato.
Esempio: fissata la cifra dei votanti in 300.000 e quella dei deputati da eleggere in 10, ne deriva che per l'elezione di un deputato occorrano 30.000 voti. Se le liste fossero tre - A, B e C - e la lista A avesse ottenuto 150.000 voti precisi, la lista B 90.000 e la lista C 60.000, si avrebbero rispettivamente 5,3 e 2 deputati eletti, in modo perfettamente proporzionale alla forza che ciascun gruppo politico ha dimostrato di avere nel corpo elettorale.
Questo caso, ovviamente, è teorico, poiché nella pratica ci troviamo di fronte a milioni di votanti, a diecine di liste, alcune a scala nazionale altre a scala regionale altre ancora legate a clientele locali, ed è normale il caso per cui dividendo i voti ottenuti da una lista per la cifra necessaria per eleggere un deputato si hanno sempre dai resti. Nel nostro esempio, se la lista A avesse ottenuto 160.000 voti e la lista B 80.000, sarebbero stati eletti sempre 5 deputati A con un resto di 10.000 voti e solo 2 deputati B con un resto di 20.000 voti. Ecco che un deputato A è «costato» 32.000 voti, un deputato B 40.000, un deputato C solo 30.000. Si apre inoltre il problema di designare il deputato che manca per giungere ai 10 fissati e non essendo possibile — allo stato attuale della tecnica anatomica — inviare decimi di deputato è chiaro che occorra trovare delle soluzioni di carattere tecnico-aritmetico.
Potremmo essere d'accordo che la soluzione escogitata nel 1948 non si è dimostrata delle più perfette (i repubblicani e i liberali però esagerano con il loro «vittimismo » retrospettivo, raccolsero così pochi voti che anche applicando sistemi più perfetti più di uno o due deputati in più non avrebbero potuto ottenere), ma ciò non autorizza a distruggere un principio sulla cui ortodossia democratica nessuno, onestamente, può fare delle riserve.
La imperfezione tecnica sarebbe stata facilmente eliminabile, e lo ha dimostrato il compagno Terracini presentando un protetto di legge per l'applicazione della proporzionale pura, tecnicamente ineccepibile. Non è qui il caso di illustrare il provvedimento proposto da Terracini: si tratta in definitiva di una migliore utilizzazione di quei famosi «resti» (ossia di quelle «frazioni» di deputati risultanti dai voti non utilizzati nella prima designazione degli eletti.
Ma repubblicani, liberali e socialdemocratici si sono trovati perfettamente d'accordo con i d.c., in sede di Commissione al Senato, nel respingere senza neanche discuterlo — e forse senza neanche conoscerlo — il progetto Terracini, dimostrando così, ammesso che ve ne fosse stato ancora bisogno, che essi puntano sulla truffa del premio di maggioranza per riuscire a raggiungere quella consistenza che non hanno nella realtà politica nazionale.
Non si accorgono i «partitini» che parlando di «truffa» per il 1948, solo perchè il ricupero dei resti lasciò alcuni margini a loro danno, confermano che truffa è la legge Scelba poiché, prima ancora di votare si sa che vi saranno deputati da un soldo e deputati da due soldi.
Pacciardi e C. ci hanno abituato a sentirne di tutti i colori ma questa «trovata» per tentare di confondere le idee agli elettori oltrepassa gli stessi limiti pacciardiani. E ciò è tutto dire.
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