Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Un "filantropo" (1953)

Si parla molto di Marzotto come un industriale che dimostra un grande spirito sociale, come un filantropo tipo nuovo. Sapresti dirmi qualcosa in proposito? (Caviglione e Agnese)

           Ormai Marzotto non è più soltanto un nome, in Italia. Ormai Marzotto è un sistema che, pur non essendo affatto isolato e originale, ha avuto dalle insegne dei re di Valdagno la sua massima pubblicità.
           Valdagno è, apparentemente, un paese come tutti gli altri, con case, fabbriche, chiese, cinema, bar, strade, mezzi di trasporto, acqua, luce, magazzini vari, ristoranti, ecc. ecc. Niente di straordinario dunque, poiché neanche può dirsi straordinaria la sua struttura che si presenta molto organica, struttura di un paese che non si è sviluppato a casaccio ma che ha seguito un preciso piano regolatore. La cosa veramente singolare è che a Valdagno tutto, fabbriche, case, cinema, stadi, macellerie, forni, vigili, ecc. ecc. tutto appartiene al conte Gaetano Marzotto.
           Par di sentirli i «benpensanti»: «Cosa avete da dire? Toglietevi il cappello dinanzi a un uomo che ha dimostrato di saper tenere conto dei più vari bisogni dei suoi operai non solo ricreativi ma anche sportivi e religiosi. Non vi pare che così fanno i veri socialisti?»
           Diciamo sinceramente non ci pare, diciamo anzi che lo sfruttamento del lavoro umano - essenza stessa del sistema capitalistico - nei sistemi tipo Marzotto trova la sua più scientifica e completa applicazione.
           Il sistema Marzotto consiste da una parte nel versare agli operai la paga - calcolata, in genere, con il sistema del cottimo individuale e degli «allenatori», ossia degli operai più «allenati» alle diverse fasi di produzione - dall'altra nel riprendersi tutto attraverso le più varie forme.
           Vai dal salumaio o dal merciaio o dal macellaio o al cinema è sempre da Marzotto che vai; paghi il gas, la luce, l'acqua, la pigione, il tram, è sempre a Marzotto che paghi. Anzi, per semplificare le cose, Marzotto paga i salari in buoni spendibili ovunque nel suo reame, ossia praticamente batte moneta per conto suo.
           E' anche profondamente educativa l'attività «sportiva» del conte-tessile. Difatti, Marzotto non si accontenta, come tanti altri industriali italiani, di fare il presidente di una società di calcio, funzione che pare, di questi tempi, sia di stretta competenza dei capitani di industria, ma fa qualcosa di più: dà il suo stesso nome alla squadra. E così su tutti i giornali d'Italia, alla radio, sui manifesti, Marzotto di qua, Marzotto di là: state certi che, non foss'altro per l'enorme pubblicità gratuita, anche per la squadra di calcio il conto torna per Marzotto. Altro che Genoa o Roma o Inter: Marzotto, quella sì che è una pura «bandiera sportiva»!.
           Manco a dirlo il filo di Marzotto passa per il Vaticano attraverso il Banco di Roma, del quale il conte della lana è consigliere di amministrazione a fianco del principe Giulio Pacelli e dell'onorevole Montini, fratello del Segretario di Stato della Santa Sede.
           Vogliamo vedere insieme qualche effetto del socialismo e della «filantropia» di Marzotto?
           Se un operaio viene licenziato da una delle fabbriche del nostro industriale, per lui, a Valdagno, non c'è più alcuna speranza. Egli perde con l'impiego anche l'alloggio, poiché il contratto d'affitto è strettamente legato al contratto di lavoro, non trova più credito in nessuno dei negozi di Marzotto, non trova lavoro a Valdagno a nessun titolo, neanche come strillone di giornali, neanche come porta-bagagli perché la società del trenino Valdagno-Vicenza è di Marzotto e di Marzotto è la stazione.
           Con questi sistemi si vorrebbero creare originalissimi regimi schiavisti proprio nell'epoca che dal socialismo trarrà il suo nome. E' un sistema che viene indicato a vanto di alcuni industriali definiti «moderni» e val la pena di ricordare un altro di questi campioni del «socialismo dei miliardari». Olivetti, il reuccio di Ivrea, è giunto a creare un Movimento Comunista fondato su una specie di ideologia della terza forza, cosa che però non impedisce di guadagnare anche sui biglietti dei pullman con i quali trasporta gli operai dalle abitazioni alla fabbrica.
           Riescono costoro a corrompere la coscienza di classe degli operai, a far perdere loro le prospettive della lotta per la emancipazione dei lavoratori?
           Voglio rispondere con una esperienza personale.
           Qualche tempo fa mi trovavo a Livorno per un comizio. Al termine della manifestazione alcuni compagni mi hanno invitato ad intervenire ad una festa popolare che il nostro Partito aveva organizzato in un vicino comune. Mi sono trovato così a Rosignano Solvay, una cittadina che anche dalla sua denominazione enuncia il sistema di cui si è parlato, creato dalla società Solvay e nella qualche come a Valdagno (a proposito, a quando Valdagno-Marzotto?) case, cinema, magazzini, ecc. tutto è della società Solvay. Sono passati diversi anni da quando quel «paradiso» venne formato, l'esperimento ha avuto tutte le sue fasi di sviluppo e io ho trovato a Rovignano Solvay tutta la popolazione raccolta attorno alle bandiere del nostro Partito. Ho saputo che la stragrande maggioranza dei lavoratori segue la gloriosa bandiera della CGIL, ho visto nelle case, negli alloggi di proprietà della Solvay, il ritratto di Stalin e di Togliatti.
           La corruzione padronale è passata sulla coscienza degli operai come acqua sul marmo.




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