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La profonda crisi della propaganda d.c.
(1953)
Passando in piazza Cavour ho ascoltato una parte di un comizio di un socialdemocratico. L'oratore si scagliava contro i comunisti e invitava questo o quell'ascoltatore a controbatterlo. Nessuno ha risposto. Non credi forse che sarebbe stato più opportuno se qualcuno, raccogliendo la sfida, avesse dimostrato la falsità di quanto quel socialdemocratico andava dicendo sulla Russia e sui comunisti? (C. Patrone – Sestri) / L'on. Lucifredi ha affermato a Ventimiglia che il P.C.I. finanzia le liste di Corbino, di Parri, di Greppi e di Calamandrei e paga i manifesti elettorali di queste liste. (Moro-Pritti-Rebaudo e altri - Ventimiglia)
Fra le tante lettere che ricevo di commento ai comizi degli avversari ho scelto queste due poiché, mi pare, esse permettono qualche considerazione d'ordine generale. La profonda crisi della propaganda avversaria, aspetto e riflesso della profonda crisi della politica governativa, ha costretto gli oratori della d.c. e parenti, dai loro massimi dirigenti all'ultimo dei galoppini, a rinchiudersi nel campo della provocazione e della falsità. Quel gerarchetto socialdemocratico, che ti sei trovato occasionalmente ad ascoltare in piazza Cavour, non lanciava affatto una sfida (la sfida è un atto da cavaliere senza macchia e senza paura, non di piccoli untorelli), egli tentava semplicemente una provocazione.
Prendendo esempio dal supremo Girella dei nostri tempi, da Romita, il quale va cercando disperatamente un qualsiasi motivo vittimistico che costringa in qualche modo i giornali a parlare di lui, le scialbe figure dei «socialisti da salotto» si sono trasformate tutte in scimmie urlatrici che vanno spaventando nelle deserte piazze (non sono ancora riuscito a capire perchè piazze normalmente brulicanti di persone diventano improvvisamente vuote non appena si inizia un comizio «apparentato») i cani che si godono il primo caldo sole di questa precoce estate o i gatti delle notturne, romantiche passeggiate.
E se per caso una onesta figura di lavoratore si trova a passare, sia pure con passo rapido e fuggente, entro il loro campo visivo, presupponendo di avere a portata di mano un comunista, passano all'aggressione verbale diretta, ad un vero e proprio adescamento. I loro tentativi sono seguiti con trepidazione dai poliziotti di servizio (in borghese) i quali non sanno se augurarsi una variazione del monotono e stucchevole programma a cui sono comandati a far da spettatori o temere che scappi una «grana».
Bene hai fatto a far rimanere solo con le sue menzogne e con le sue provocazioni il «socialista» dei Costa, come bene fanno i nostri compagni e tutti i democratici che non accettano il gioco dei provocatori. Le bugie, particolarmente quelle dei dirigenti socialdemocratici che hanno in Romita un loro simbolo, hanno le gambe corte e molto lontano non vanno mai.
E anche le bugie di Lucifredi, il sottosegretario alle raccomandazioni e alle promesse, non riescono a fare troppo cammino. Basterebbe ricordare a questo monarchico sottosegretario della Repubblica, che a suo tempo non disdegnò l'orbace e che oggi va esaltando libertà e democrazia nel nome dello scudo crociato, paravento di tutti i trasformismi e di tutti gli arrivismi, che è stato proprio il nostro Partito a proporre che tutte le liste dichiarassero l'entità e l'origine dei fondi destinati al finanziamento della campagna elettorale.
Invece di andar dicendo le sciocchezze che va dicendo, le quali riguardano più che il nostro Partito la lealtà e la dirittura di uomini come Corbino, Parri, Calamandrei, Greppi e Antonicelli, l'on. Lucifredi potrebbe rivolgersi a Gonnella o meglio a Restagno, segretario amministrativo della d.c., per chiedere che siano svelati i «giocondi misteri» dei miliardi sperperati al di qua e al di là del più normale pudore.
Ma Lucifredi sa di essere un falsario, spera solo di riuscire a spacciare qualcuna delle sue monete false.
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