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Censura cinematografica
(1953)
Si parla molto in questi giorni di censura cinematografica. Come funziona? Vi è stato nulla di nuovo in proposito dopo la caduta del fascismo? (Massimo Parrini - Genova)
Le dico sinceramente che non conosco l'ordinamento della Commissione di censura, né mi sono preoccupato di informarmi per rispondere a questa lettera. Non è una forma di pigrizia che mi ha impedito di scartabellare qualche libro o qualche rivista, glielo assicuro, ma la convinzione che l'aspetto tecnico-giuridico della censura cinematografico non sia di preminente importanza.
Si può facilmente immaginare che la legge parli di difesa della morale, di difesa delle istituzioni, di difesa dell'ordine pubblico, ecc. ecc., tutti motivi profondamente seri che però rimanendo formulati con estrema genericità permettono di legalizzare tutti i soprusi.
Una prima discussione potrebbe essere fatta sulla differenza procedurale che esiste fra il controllo esercitato su certe forme di espressione del pensiero, quali la stampa di giornali e di libri, e quello esercitato su altre forme, quali i soggetti cinematografici e i lavori teatrali. Per i primi il controllo avviene in forma consuntiva, ossia dopo che la pubblicazione è stata messa in circolazione, per i secondi avviene in forma preventiva e veramente non si avvertono i motivi giuridici per cui non debbano essere ritenute sufficienti, per il controllo sulla produzione cinematografica, le leggi generali dello Stato che difendono la morale, le istituzioni, l'ordine pubblico.
Quando si pensi poi che un giudizio che richiede una illuminata cultura e una viva sensibilità artistica viene affidato a organi burocratici ministeriali, si può avvertire pienamente tutto il peso negativo che un tale sistema di controllo viene ad esercitare sullo sviluppo dei valori culturali.
Chi non comprende lo stupore del regista Antonioni che si vide interamente censurato un documentario sulla superstizione in Italia in cui erano riprodotte, dal vero, forme barbariche di sortilegi e di medicina popolare esistenti nelle Marche? I membri della Commissione si mostrarono scandalizzati e se la presero con Antonioni come se egli avesse colpa di quelle forme di arretratezza che nella nostra società riescono ancora ad avere diritto di cittadinanza.
Il problema si allarga ancora quando si consideri che la censura viene concepita e attuata in modo diverso in questo o in quello Stato, imponendo - per così dire - una specie di linguaggio dialettale ad una forma artistica che è nata e si è sviluppata con un linguaggio universale.
In Giappone è immorale un bacio all'europea, in America è immorale presentare sullo schermo una donna ubriaca, in Inghilterra è proibito mettere in scena letti congiunti a due piazze.
La censura americana che, come è noto, non è di Stato ma è imposta dagli stessi produttori in base al famigerato codice di Willy Hays, presenta gli aspetti più paradossali. Sulla «moralità» dei film americani, credo che ogni spettatore italiano se ne sia potuta fare una idea molto precisa eppure è capitato a De Sica di sentirsi richiedere la soppressione, in «Ladri di bicicletta», della scena di Bruno che «fa pipì» perché giudicata immorale...
Ma il problema di fondo della censura in Italia non è né etico né artistico, è politico.
Basta consultare le statistiche dei film stranieri ai quali è stato concesso il «nulla osta» per la programmazione in Italia, per vedere ufficialmente confermati il settarismo politico e la cecità culturale dei nostri «censori».
Nel 1952 hanno ottenuto il visto della censura 300 film americani e solo due film sovietici. Nel biennio 1949-51 vennero importati in Italia 1126 film americani e solo 7 film sovietici.
Nemmeno i cine-club, ai quali la legge vigente permette le proiezioni dei film senza bisogno del visto di censura, riescono più a presentare le produzioni non gradite all'atlantismo culturale: nel febbraio scorso al Circolo romano venne proibita la proiezione del film sovietico «La vittoria del popolo cinese» di Varlamov. A Genova venne addirittura proibita la proiezione di «Petrolineide» organizzata dal locale Circolo del Cinema.
Ecco come funziona la censura del nostro Paese, caro signor Parrini: che vale fermarsi sulle disposizioni di legge quando per primi violano la legge coloro che dovrebbero garantirne l'applicazione?
Lei chiede se qualcosa è cambiato dopo la caduta del fascismo. Penso di averle già data la risposta: se però lei crede che la questione riguardi essenzialmente i comunisti le consiglio di leggere «Ritorno alla censura» di Vitaliano Brancati, scrittore non comunista, che presenta il suo libro con questa citazione di Milton: «Se poi non è delle sètte che vi occupate ma delle riforme dei costumi, ebbene guardate allora l'Italia e la Spagna e vedete se in quei paesi c'è una sola oncia di più di bontà, di onestà, di saggezza, di pudore, dacché l'inquisizione si è abbattuta sui libri con tutto il suo rigore...».
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