Le lettere raccontano... (epistolario di famiglia)

"Ho superato tutte le malattie" (1969)




Fernanda Adamoli (1921-2009)




        “Nella mia vita ho superato tutte le malattie...”, usava ripetere la zia Fernanda in occasione delle sue visite mediche. Lo disse anche due settimane prima di morire, quando la portammo a Chieti, a “Villa dei Pini”, ed io rimasi anche un po' sorpreso che fosse riuscita a pronunciare nuovamente quella sua frase, considerata la nebbia mentale nella quale l'Alzheimer l'aveva fatta precipitare nel giro di poche settimane. Forse la zia s'illudeva che avrebbe superato anche questa malattia: “Non ricordo più niente...”, diceva scuotendo la testa. Gli era divenuta estranea la sua stessa casa per la quale si aggirava senza sosta, quasi alla ricerca di un appiglio che le restituisse il filo di tutti i suoi ricordi.
        Quella casa che lei aveva abitato per quasi cinquant'anni, inizialmente insieme alle sorelle Concetta ed Italia, con le quali esisteva un'unione ed un affetto molto forte. Tra il 1976 ed il 1977 le due sorelle più grandi morirono, e Fernanda è rimasta a viverci da sola per oltre trent'anni, fino al 29 giugno scorso.
        Il palazzo nel quale abitavano le tre zie nubili è uno dei più signorili edifici di Teramo, ed era occupato da alcune famiglie di insegnanti di educazione fisica, che per metter su casa si erano riuniti in una cooperativa chiamata Cefim. Lì hanno abitato alcuni degli insegnanti storici della città: Giorgio Caruso, Dante Ciarelli, Angelo Gaspero, Maria Grue, Ruggero Ruggeri, Domenico Bernardini, ed il Prof. Carlo Eugeni, il fondatore dell'atletica teramana, cognato delle tre zie, essendo il marito di Diana (detta “Dina”), la più grande dei cinque figli dei miei nonni Annunziata e Federico Adamoli. In quel palazzo, di quei vecchi insegnanti rimane oggi il solo Ciarelli, con i suoi 92 anni portati con grande stile.
        Nella casa delle zie paterne insieme ai miei fratelli ho trascorso tante indimenticabili domeniche, tanti Natali, tra succulenti pranzi ed affollate tombolate. Al termine di quelle giornate, per convincerci a tornare a casa le zie erano costrette a regalarci qualche piccolo oggetto, che noi chiamavamo la “cosetta”.
        Tra le zie esisteva un legame molto forte, un senso della famiglia sconosciuto a noi Adamoli delle ultime generazioni. Hanno vissuto la loro giovinezza in un'epoca a noi molto lontana, più lontana degli anni che ci separano da essa, e sono cresciute in una miseria dignitosa, nelle privazioni tipiche degli anni della seconda guerra. Una condizione che non ha impedito loro di studiare, grazie anche al reciproco sostentamento, e di raggiungere l'insegnamento nelle scuole. Questo forte legame, del quale peraltro sono sempre stato consapevole, l'ho potuto ritrovare nel contenuto di alcune lettere scritte tra di loro nel 1969, in occasione di una degenza ospedaliera di Fernanda al Sant'Orsola di Bologna.


1969. Festa di compleanno in via Milli. Gli adulti da sinistra a destra: Fausto Eugeni, Italia Adamoli, Fernanda Adamoli, Maria Rastelli, Giovanni Adamoli, Dina Adamoli, Concetta Adamoli, Carlo Eugeni. I bambini: Federico, Umberto e Gelasio Adamoli (dietro ad Umberto).


        Fernanda, alle soglie dei 50 anni, nei primi giorni di luglio, quando con le due sorelle si appresta ad iniziare il soggiorno estivo nella casa di Silvi, scopre di avere un nodulo al seno. La circostanza destò viva preoccupazione in famiglia e la partenza per il mare venne rinviata per eseguire gli accertamenti necessari. L'inizio della villeggiatura avvenne solo nei primi giorni di agosto, ma evidentemente senza la necessaria serenità per godersi il soggiorno silvarolo; la stessa Fernanda scrisse in uno dei suoi tanti bigliettini: “Stavo male e non mi sentivo di partire”.
        Molte volte la zia ha raccontato ai nipoti questo passaggio delicato della sua vita, e di questa esperienza non ha mai mancato di ricordare la grande umanità e gentilezza che trovò nel prof. Pierangeli, il medico abruzzese che la operò nel successivo mese di ottobre a Bologna, dove Fernanda fu accompagnata da Italia. Nella prima lettera inviata a Concetta (la terza sorella rimasta a Teramo in compagnia della domestica Maria) Italia scrisse che quando si trovarono davanti al prof. Pierangeli, originario di Pescara, “lui fu di una cortesia e gentilezza infinita. Proprio si vedeva che era abruzzese. Tra tanta rigidezza e freddezza trovammo infine una persona con la quale si poteva parlare con una certa fiducia”. Giunte in ospedale di domenica, il professore lo avevano atteso in portineria per circa tre ore, “come due misere pellegrine”. Italia e Fernanda avevano proprio bisogno di qualcuno che le rassicurasse, perché all'arrivo a Bologna avevano scoperto che per il ricovero avrebbero dovuto pagare tutto di tasca propria, senza aver diritto a nessuna sovvenzione (circa 40.000 lire al giorno!): “Ci sentimmo talmente scoraggiate che eravamo sul punto di riprendere subito il treno e tornarcene a Teramo”.
        Nonostante tutto le zie ottennero una sistemazione soddisfacente, e non soffrirono più di tanto la lontananza dall'ambiente teramano, dato che trovarono a Bologna più di un familiare, come ebbe modo di riferire Fernanda alle sorelle Dina e Concettina: “Mi sono trovata qui in famiglia, in quanto ho avuto la visita di Anna Maria, che ha accompagnato Maria (la madre) in un altro reparto per visite di controllo. Ieri sono andata a trovarla ed è molto abbattuta, non vede l'ora di tornare a Teramo. La famiglia di Gelasio è anche amica del Prof. Pierangeli, che è nativo di Pescara. Voi naturalmente non dite agli altri che ho visto la famiglia di Gelasio. Ieri sera tardi è venuto a trovarmi il dott. Berardi, molto simpatico anche lui, ma è sempre tanto occupato; ha detto che verrà nuovamente e porterà forse anche la moglie. Come vedete anche a Bologna mi sono trovata fra varie persone abruzzesi”. Pure Italia riferisce di una visita inattesa: “avemmo anche la bellissima improvvisata della venuta di Franco. Quando lo vedemmo sulla porta ci sembrava di sognare. Se non avesse avuto un punto di riferimento avrebbe potuto adattarsi anche qui a dormire, dal momento che oltre i due letti c'è anche una comodissima poltrona”.
        Proprio qualche minuto dopo aver scritto la sua lettera, Fernanda riceve l'inattesa chiamata per la sala operatoria. Italia riferisce alle sorelle: “Tutto si è svolto all'improvviso e con estrema semplicità. Vinta la prima emozione siamo state tutte e due molto calme. Fernanda si è mostrata tranquilla e sorridente come facesti tu, Dina, ti ricordi? E' venuto Nino (il dott. Berardi), il fratello di Luigia proprio quando Fernanda stava per entrare nella sala operatoria. Così l'ha salutata e poi è venuto a tenere compagnia a me. E' proprio un simpatico e buon giovane e la sua presenza mi è stata molto gradita. Mi ha assicurato che la natura del nodulo è benigna, dopo aver consultato il prof. Pierangeli che ha operato”. La tensione vissuta nei giorni dell'attesa dell'operazione si stempera nella buona notizia, e Fernanda scrive alle sorelle: “mi sono finalmente liberata e ora mi sento più tranquilla”.



Pietracamela (Teramo), agosto 1950: Italia, Fernanda e Concetta Adamoli


        Nella casa teramana l'attesa per le notizie importanti, per un rassicurante contatto telefonico, rende l'atmosfera più carica di tensione. Tra il primo ed il terzo piano del condominio Cefim, le sorelle si scambiano visite e sono impegnate a tenere il più possibile nascosta la situazione alle domestiche di casa. Concettina scrive alle sorelle a Bologna: “Volevamo telefonare per avere notizie più precise, ma nel salire da Dina, trovai Giovina impegnata con Zena in una partita a carte... e dovemmo rimandare al giorno dopo”. Anche Dina ha qualcosa da ridire su questa partita a carte: “ci si piazzò in casa Giovina, la quale, non avendo saputo nulla di preciso in casa di Giovannino, sperava di apprendere qualcosa di più in casa nostra. Ci tenne a dire che era venuta a trovare Zena e tutte e due si misero a giocare a carte. Io e Concettina le avremmo strappate volentieri...”.
        Nel momento più cruciale la lontananza è un peso difficile da sopportare, al punto che Dina scrive: “Per questo veramente io e Concettina stavamo pensando di venire (nella segreta speranza di non andare a finire a Brindisi) ma Fernanda, da vera velocista, ha superato le due sorelle (io e Concettina) lumache”. Anche in via Cadorna la preoccupazione lascia il posto alla gioia per le rassicuranti notizie e Concetta scrive: “Non so come ringraziare Iddio, cercherò di essere un po' migliore e di dimostrarvi maggiormente il mio affetto che in realtà è stato sempre molto grande. Mi raccomando però Fernanda cara, di non stancarti. Tu Italia cara, non andare in giro fuori dall'ospedale, perché è troppo pericoloso”.
        I giorni che seguono l'operazione trascorrono in tranquillità, nell'attesa delle dimissioni e del ritorno a casa di Fernanda ed Italia, che scrive: “Qui a Bologna ci siamo trovate molto bene. Non sono mancate le vostre graditissime lettere, telefonate e cartoline a farci sentire meno la solitudine. Ringraziamo infinitamente Iddio che tutto si sia così concluso, nella gioia di poter essere al più presto a casa”.




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