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Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   - 398 —
   picciolini lumi portando in mano, gli occhi lagrimanti per lo fummo, con roca voce e colla verga dà il segno della battaglia, e comanda che vadano a tavola quelli che debbono cenare.
   Di quinci io con pochi entrava alla prima tavola, come più onorato nella sentina; ma nel cospetto mio sozza ed incomposta turba rumava, senza comandamento aspettare, dove la fortuna gli concedeva. Ciascuno alla mangiatoia s'acconciava, desideroso di cibo; e a mio dispetto spessis-sime volte verso costoro io voltava gli occhi, i quali quasi tutti vedeva con gli nari del naso umidi, colle gote livide, con gli occhi piangenti, in gravissima tossa essere commossi dinanzi a sè e a me marcidi e rappresi umori sputare. E non è maraviglia: mezzi vestiti, quasi tutti di sottilissimi e manicati pannicelli, presso al ginocchio nudi, e disorrevoli e tremanti, scostumati, affamati, a guisa di fiere trangugiavano le vivande poste loro innanzi. Che dirò de' vasi bo-glienti per porne i cibi, simili a quelli del grande Antioco (1) re d'Asia e di Siria? Forse lo penserebbe un altro tirato da falsa fama : io non ti posso ingannare, chè ogni cosa avevi apparecchiato. Egli erano di terra; la qual cosa io non danno, perocché questi così fatti per l'addietro avevano in uso Cur ] e Fabrizio uomini venerabili; ma egli erano sozzi, e, siccome spesse volte io pensai, dalle botteghe de'barbieri, e di quelli che pieni di corrotto sangue tengono i barbieri di Napcli, parevano essere suti imbolati. E se alcuno ve n'era di legno, nero e umido, e che sapeva e sudava del grasso di ieri, erano posti innanzi: il che spesse volte di tuo avvedimento m'avvidi essere stato fatto, acciocché la canne innanzi posta, pigliando il sapore del legno, non diventasse sciocca. Dirai forse : Se tu sai che io il sapessi, perchè me lo scrivi? Per Ercole! non per altro, se non perchè tu t'av-veggia che ancor io mi sia avveduto che quello che quivi era ì.on era di Malfa (2).
   (') Cl'r. Valerio Massimo, IX, i.
   (-) Forse nanfa, per (lire ohe non aveva buon odore. Cfr. Decameron, Vili, 10: « Acque nanfe ». L'Acciainoli era conte di Melfi; ma non riesco a vedere come la frase del Boccaccio possa alludere a questo titolo del gran Siniscalco.