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([iie la morte, non la riceverò con dispiacere, ma come s'ella fosse fine di tutti i mali, prima che io addivenga più grave agli amici. E affinchè più non ti molesti con le mie afflizioni, ora tu sai il perchè non ti scrissi, sai quello che pensi, sai quello che desideri.
Fin qui, inclito cavaliere, ai 12 di agosto, per tre interi giorni prscedenti, solo questo poco potei scrivere, nè aveva intenzione di aggiungere a questo se non deKe raccomandazioni, e nel dì seguente chiudere la letteruccia, quando da un nuovo e doloroso caso fu rotto il mio proposito. Imperocché nel detto giorno, al tramontar del sole, me debole, lasso e che appena poteva respirare, una febbre ardente! di subito assali con tanto impeto che al primo attacco mi credei vinto, e così mi posi nel letticciuolo, credendo che più non sarei per discenderlo coi miei piedi, e crescendo la notte cresceva, l'arsura, lo poi tormentato dall'infesta arsura ei da un acuto dolor di capo, emettendo acceso l'alilo, e talora tenui gemiti, segno del mio patire, giacché non è mio costume mugolare siccome i più sogliono, qua e là mi volgeva, cercando per quel moto eludere la febbre, e collo sventolare delle vesti dar lieve refrigerio all'etneo incendio. E poiché contro le forze così potenti dell'immenso calore sentii me esausto e affralito, credeva d'esser già presso il mio fine, e disperando della vita presante, cominciai a meditare sulla futura, e sapendo ch'io scellerato uomo doveva al primo uscir del corpo comparir innanzi al tribunale di quel giudice che tutto scerne, e rivolgendo meco stesso quanto la sua giusta ira farebbe severo scrutinio delle mie colpe, tanto spavento mi prese, che tremava tutto, e conscio di me sincere lagrime emetteva.
Era ivi con me solo una fantesca, per molti anni di servizio dìvota, la quale vedendomi e figurandosi che io fossi vinto dall'infermità, lacrimava, e sgarbatamente e stupidamente ingegnavasi di farmi cuore gagliardo a sopportarlo, lo poi, in mezzo all'aidor della febbre, rideva della sua stoltizia, e a te e agli altri amici, come che assenti, quasi foste li, dopo quella gran paura parlava, e pregava tra me con quanta forza io poteva, affinchè per vostra intercessione m'imploraste dolce la morte, e per i supplici voti Lui faceste verso di me mite e misericordioso, e talvolta, credendo' di spirare in quel momento, dissi addio a te ed agli altri. A che dir più? Era notte profonda, quando mi parve che uri fuoco, di dentro uscito fuori, dall'umbilico sino al
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