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Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   gloria della mia fortuna. Che, di qrazia, a me fiaccato, di più desiderabile poteva incontrare dell'aver conosciuto, per così certi testimoni, essere io di tanto cavaliere così amico, che sulle mie infermità non gl'incresca di spandere le sue lacrime? Quelle ancor più care ebbi, quanto più rare sogliono concedersi da uomini illustri a poveri. Queste infine sentii e sento lavare, anzi cancellare le angustie mie, imperocché non tanto alla superfìcie esse toccando, quanto alle volte una fiammella lambisce le cose unte, purificarono il corpo infermo; ma mentre leggeva mi parve che penetrasse sino alle viscere un cotal salutifero e dilettevole lenimento, solleticante i miei sensi come fresca bevanda a un assetato.
   L'aver arrossito è tuttavia argomento di animo forte quanto intelligente. Tutto effondersi in pianti e querele sonore ed ululati, come alcuni spessissimo fanno, è senza dubbio da donna, e detestabile in uomo: ma poche lacri-mette sono segno dii umanità e di cuore appassionato...
   Scaccia dunque quel rossore, e credi tu aver fatto oper i di pio uomo, non di fragile donna: e rallegrati di aver dato una così vera testimonianza della tua integrità e dell'affetto all'amico quantunque povero. Le tue preghiere poi e dei tuoi, che prometti, accolga benignamente Iddio; le quali essendo pie e giuste, non dubito di non dovermi accorgere che nel cospetto dell'eterno re abbiano intercesso per me e ottenuto quello che chiedono; anzi o tue sieno o della reverendissima e devotissima tua consorte già me n'accorgo; imperocché quel che la dolcezza delie tue lacrime aveva assopito, ora la virtù delle tue preghiere rimette nella sua prima forza, tanto che non mai sentii in me più fastidioso il prurito, nè più acute le unghie, né maggiore il diletto del grattare. Ma basti di questo.
   Che tu non abbia letti i miei libercoli, il che tu confessi quasi grande colpa, non me ne maraviglio; imperciocché non sono di tal valore che, trascurata ogni altra cosa, quelli si debbano leggere con grande sollecitudine. Dato il calore estivo, le notti brevi, la sposa novella, per non dire degli affari domestici, non pure un nuovo e giovane cavaliere, ma basterebbero a rimuovere un vecchio canuto e letterato dai suoi studi, e scusarlo.
   Ciò poi che tu scrivi d'essere per fare nel veniente in-