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te (1), nè meno a Madonna tua consorte, alla quale bramo onore e consolazione. Donato Iacobi nuovo tuo affine, se n ai m'inganno, è uomo degno, e perciò amico mio ed io suo, e così prego che a lui mi raccomandi; e in egual modo al nostro Giovanni Latinucci quando gli scriverai, del quale ti rimando qui accluse le lettere che mi spedisti. E salva sempre la reverenza al cavaliere e il tuo beneplacito, non sono queste mie tatterucce, che a. te famigliarmenite scrivo, e per avventura con troppa fidanza, non sono da mandare così da lontano, e neppure da mostrare ai presenti : imperocché se, mentre le leggi, ti inganna la tua affezione, non così facilmente altri saranno presi e teco concorderanno nello stesso giudizio; per il che avverrà, forse, che dove stimi ampliare il mio nome e la lode, inavvertente-miente, invece, l'impiccolirai e deturperai.
Molto scrissi, nè questa sembra lettera d'infermo, ma così sia: mentre a te scrivo, non altrimenti io mi sento d'Iettare che se di cose gioconde e dilettevoli teco insieme parlassi.
Perdona la lungaggine e vale lungamente, valorosissimo oavallerò. Di Certe:]do (13 settembre 1372). — Tuo G. B.
XVI. — T\ Iacopo Pizzlnghf.
Generoso cavaliere, incerto di me fui per qualche tempo in Napoli la scorsa primavera: da una parte mi traeva il desiderio di ritornare in patria, che sdegnoso aveva lasciato nell'autunno precedente (2), ncm. che di rivedere i libri lim-meritamente abbandonati, e gli amici, e altri cari; dall'altra, era sollecitato a rimanere e ritenuto, or dalla veneranda violenza, or dalle preghiere dell'inclito uomo Ugo dei Conti di San Severino, la cui splendida fama credo tu sappia. Imperciocché l'egregio uomo procacciava con tutte le forze, eziandio contro il mio volere, con l'aiuto della Serenissima donna Giovanna regina di Gerusalemme e di Sicilia di collocarmi in placido ozio presso i Napoletani.
(') L. ritj. om». Irihunalinm, I, !I3. (-) Autwnno ntiper elttpgo.