Storia antica di Como di Maurizio Monti

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      •«157 NOTEci devono sfare. L'affare s» agitò in Roma, e i decurioni vinsero la lotta anche in lloma. Di ciò ricordandosi era obbligo dei decurioni di mettere il sequestro sui carri dei vescovi Archinti e Carafiui, che menavano i marmi a .Milano e a Cremona. Nell'undici agosto 181.'» vedemmo di pieno giorno nel bel mezzo di piazza Jasca (ora Volta) sequestrala dal podestà la statua di sant'Isidoro, che si carreggiava alla riva del lago per trasferirla a Moltrasio nel palazzo dei fratelli Passalacqua ; e la statua fa ora di sè bella mostra iri Duomo.
      Morto Cara fi ni gli eredi strascinarono . come loro proprietà, altre Iapili a Cremona. Estinta la famiglia verso l'anno 1740 rimase erede la nobil casa Barbò, detta della Colonna, e acqui-stossi i marmi, Sul (ine del 1790 il primogenito dei Barbò udendo che ì marchesi Pfsenardi radunavano un museo alla Torre dei Picenardi, sedici miglia lontano da Cremona, ne fece loro libéralissimo clono. Colà traslatati, ancora vi slanno i nostri marmi.
      I Cara fini non avevano spogliato interamente il vescovato. Vi resto, per la difficoltà forse del trasporlo, la lapide monumentale di Caracalla, P elegantissimo frammento di un trionfo, come si credette, di Giulio Cesare, e qualche altro pezzo di minor conto, ma perchè nuovo spoglio accadesse nel secolo del progresso. Nel 29 maggio 1829, essendo vescovo Giambattista Castelnuovo, prese questi ultimi marmi i! conte Francesco Giovio, e ne abbellì il suo museo. Brutta favola del buon Aldini, che le lapidi lasciate in Como dagli eredi Caraffai andassero a male in gran parie per indolenza abbandonare o sepolte fra i sassi e i triboli del giardino vescovile¦ Dissero, e bene, i cittadini che si vescovo non poteva spropriarsi dei marmi, di cui era il custode e non il padrone, salvo che per fondare il museo della città,, conservandone ancora il possesso. E se Archinti e Cara fi ni avessero stabilito un museo nel loro palazzo, onure grandissimo e perpetuo sarebbe loro derivato.
      II silo che in maggior copia forni le lapidi è quella striscia di terreno che appena fuori le mura di Como corre da san Giovanni Pedemonte per santa Marta, sant'Andrea e sant'Abondio, fin oltre la basilica di san Carpóforo. Luoghi notissimi tranne forse sant'Andrea. Chi lungo la stretta llighiaa s'innoltra da sant'Àbondio verso santa Marta, trova subito in sul lato sinistro un viottolo, che mena ad un gruppetto di case coloniche, che dieonsi di sant'Andrea ; e quivi appunto era fabbricata al loro posto la chiesa in onore di sant'Andrea apostolo: ampia e a tre navi. Nel secolo xvn si dilrusse dai fondamenti. Benedetto Giovio vi copiò le prime quattordici epigrafi della Collellanea. Degno a sapersi che la Valtellina e i contadi di Bormio e di Chi a renna mancano affatto di marmi letterati, e che questa mancanza è comune al propinquo territorio dei Griffoni; ubi, scrive Moinmsen, nulli lapides scripti reperiri svieni (Inscript. Confoed. helv. pi 109 num. 3 et p. 101» man. 4).


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Storia antica di Como
di Maurizio Monti
Tipografia de' Classici Italiani
1860 pagine 259

   

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