Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
LIBRO PRIMO.
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infami per enormezza di scelleraggini, si andava adunando il gran tesoro delle leggi, le quali aggiunte alle antiche della repubblica, prepararono quella scienza, che, quando Roma era sparita dalla faccia della terra, doveva splendere come face che illumini la tenebra della società uscente dalla notte della barbarie, ed appresti le norme al riordinamento civile della Italia e delle moderne nazioni. Esaminando la giurisprudenza romana anteriore a' tempi di Costantino in quanto alla equità, alla sicurezza, alla vindicazione, si rimane maravigliati a quella eccellenza, a quella unità scientifica, che, secondo notava Lei-bnizio, ha qualità di prodigio. Fu essa un peregrino tesoro, che accompagnò ne'secoli susseguenti l'Italia, nò le fu tolto mai dalla dissoluzione politica prodotta dalle barbariche conquiste. La legislazione romana rimase intatta sotto le ruine [>r*r risorgere dalle macerie. L'imperio dell' armi di Roma periva; quello de'suoi giureconsulti rinacque a perpetuare la memoria della sapienza civile de' Latini.1
IX. Allorché Diocleziano fu assunto al principato, la confusione delle cose della repubblica e la prostrazione degli animi erano pervenute ad eccesso sì enorme, da suggerirgli il concetto di tramutare la monarchia in autocrazia assoluta. Mentre promoveva le asiatiche dissolutezze già in voga da non poco tempo in occidente, simulando venerazione per gli ordini senatorio ed equestre, al suo collega Massimiliano, che governava l'Italia, suggerì d'inventare congiure per ispegnere i grandi e i ricchi dello impero. Disciolse le legioni de' pretoriani, le quali erano composte di militi italiani, vegliami alla custodia del palazzo imperiale, e chiamò a tale ufficio due legioni dello Illirico. Dava egli, primo, ai despoti deboli lo esempio di assoldare armi forestiere, ognora pronte a volgersi a danno dei popoli, di affidare, cioè, la sicurezza del principato ad orde di trucidatori, simili in certo modo a quelle di che la libera Elvezia a' dì nostri non abborre di fare infame ed esecrando commercio.
Ciò che Diocleziano incominciò, Costantino ridusse a compimento. Al nome di quest' uomo ci torna alla inente la im-
1 RomagQosi, Dell'indole e dei fattori dello incivilimento. l\ I, c. \ .
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